Perché la Germania non può fare a meno del gas russo

Stefano Grazioli
05/04/2022

Nonostante i proclami, la Germania non può permettersi di fare a meno del gas russo da cui dipende per il 55 per cento. E che è necessario per la transizione ecologica. Staccare la spina senza alternative nel breve periodo equivale a spegnere l'economia con ricadute in tutta Europa. E resta il dubbio che sia un sacrificio inutile.

Perché la Germania non può fare a meno del gas russo

Non è una sorpresa che la Germania si opponga all‘embargo sul gas russo come proposto da alcuni Stati europei. Se chi vuole il blocco totale lo fa ben sapendo di poter fare tranquillamente a meno dell’energia russa, un po’ come hanno fatto gli Stati Uniti bloccando l’import di petrolio, Berlino non può rinunciare al gas di Mosca. E difatti il gesto, più simbolico che altro negli stretti termini dell’economia di guerra, è stato quello di bloccare l’avvio del gasdotto Nordstream 2, che appunto non trasportava nulla. L’export russo di gas verso la Germania e l’Europa procede esattamente come prima, attraverso le tre vie standard e le loro diramazioni, quella settentrionale (Nordstream 1), quella attraverso la Polonia (Yamal, interrotto poi riavviato) e anche attraverso l’Ucraina (Druzhba). Con i prezzi alla stelle.

La transizione ecologica è impossibile senza l’uso temporaneo del gas

L’allarme sullo stop delle forniture dopo l’ultimatum di fine marzo sui pagamenti in rubli è naturalmente rientrato, con l‘escamotage del Cremlino del doppio conto (uno in valuta straniera, l’altro in quella russa), che sta permettendo di continuare come prima, consentendo alla Russia di vendere e  incassare e a chi importa di tenere al caldo e far funzionare l’industria dei rispettivi Paesi. La Germania è particolarmente dipendente da Mosca, a causa di una politica che per decenni, sotto tutti i governi, ha puntato sull’import prima dall’Unione Sovietica poi dalla Russia. Alla mancanza di diversificazione geografica, anche per forza di cose data la riduzione progressiva dei giacimenti britannici e olandesi del Mare del Nord, si è aggiunta la decisione di abbandonare il nucleare che dal 2011, insieme alla decarbonizzazione, ha proiettato Berlino verso quella che è considerata la transizione verde. Il problema, già presente ben prima dell’invasione russa, è che il passaggio verso un mondo di energia rinnovabile non è realizzabile senza l’utilizzo, transitorio, del gas. L’accelerazione che sta imprimendo il conflitto tra Russia e Ucraina sulla politica energetica tedesca non può certo essere miracolosa: senza il gas russo la Germania si spegne.

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Una manifestazione a Berlino (Getty Images).

Più del 55 per cento del gas usato in Germania proviene dalla Russia

Sono i numeri a parlare chiaro, cifre note che indicano come la sostituzione istantanea che molti fuori dalla Repubblica federale, o anche a Berlino stessa sbandierano in maniera propagandistica, non è realistica. Petrolio e gas contribuiscono per oltre il 50 per cento al mix energetico del Paese: più del 55 per cento del gas, essenziale per il riscaldamento (44 per cento delle abitazioni) e per l’industria (31 per cento) e il 42 per cento di petrolio e carbone sono importati dalla Russia. Il blocco dell’import di gas russo da un giorno all’altro farebbe tracollare il Paese. E con la Germania al collasso, tutta l’Europa seguirebbe, con conseguenze devastanti per tutti, compresi quei Paesi che lo invocano a gran voce. Lo ha detto chiaramente la ministra degli Esteri Annalena Baerbock. Un embargo del gas «non è utile se nel giro di tre settimane scoprissimo che in Germania ci sono rimasti solo pochi giorni di elettricità, e quindi dovremmo tornare indietro su queste sanzioni».

Perché il Gnl non è una soluzione immediata per Berlino

Il governo semaforo del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz e del suo vice verde Robert Habeck ne è consapevole, come lo sono stati i loro predecessori, a partire da Angela Merkel, e ora deve fare in ogni caso buon viso a cattivo gioco, lasciando aperti i tubi che collegano Russia e Germania. Il piano previsto da Berlino per l’emergenza è comunque quello di raccattare qua e là qualche decine di migliaia di metri cubi di gas, soprattutto liquido, tra Stati Uniti e Qatar, anche se c’è il piccolo problema che in Germania non esistono ancora rigassificatori e sul breve periodo, per i prossimi tre o quattro anni, ci si dovrebbe appoggiare a Olanda e Polonia. Il memorandum per la costruzione del primo terminale di Gnl è stato firmato il 5 marzo. L’impianto verrà costruito a Brunsbüttel, alle foci dell’Elba e vicino ad Amburgo. Ma si parla di anni. Anche l’Unione europea ha già un programma per una riduzione dell’import dalla Russia che ammonta a oltre 155 miliardi di metri cubi all’anno, ma un terzo è impossibile da sostituire velocemente e sul resto, a partire dai 14 miliardi risparmiati non si sa bene in che modo, le discussioni sono sempre aperte.

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Il cancelliere Olaf Scholz (Getty Images).

L’embargo sul gas può concorrere a far terminare la guerra in Ucraina?

Alla fine insomma per la Germania di alternative non ce ne sono, se non quella di dare velocità alla transizione verde che per essere attuata in una cornice normale, in un Paese in crescita e in un contesto internazionale favorevole, avrebbe impiegato quasi un decennio e ora dovrà essere ricalcolata su altri parametri probabilmente non altrettanto vantaggiosi. C’è poi l’altro lato della medaglia. Davvero l’embargo sul gas, europeo e tedesco, serve a far terminare la guerra in Ucraina? La Germania, ha dichiarato Baerbock, è pronta «a pagare un prezzo economico molto, molto alto» ma «se domani in Germania o in Europa le luci si spegnessero, questo non fermerebbe i carri armati». Per ora ogni tipo di sanzione contro la Russia, a partire da quelle comminate nel 2014 dopo l’annessione della Crimea, non ha fatto cambiare idea a Vladimir Putin, che ogni volta ha alzato il livello dello scontro fino all’invasione dell’ex repubblica sovietica. Anche con questo dubbio, a Berlino vanno con i piedi di piombo.