Se la Germania ha un problema, l‘Europa intera rischia di averne uno ancora più grande. Se la più grande e più economia del continente si blocca, i riflessi sulle altre non potranno che essere ala fine maggiori, con un effetto domino e conseguenze imprevedibili, economiche e politiche, sia per l’Unione, che all’interno dei singoli Stati. Passata, o quasi, la pandemia, lo spettro per Berlino è quello del blocco del gas in arrivo dalla Russia, dopo che l’invasione dell’Ucraina decisa dal Cremlino si è tramutata in un conflitto globale, anche economico e finanziario, tra Mosca e l’Occidente. Quella che fino a pochi anni fa era diventata una partnership strategica, ora è un rapporto sfilacciato, tenuto ancora insieme dai tubi del gas, che può spezzarsi anche prima di quanto previsto – e voluto da entrambe le parti – trascinando con sé l’Europa intera, e non solo. Del caro energia hanno discusso i leader dei sette grandi riuniti a Elmau, proprio in Germania. «Tutti gli Stati del G7 sono preoccupati per la crisi che dobbiamo affrontare ora», ha dichiarato il cancelliere tedesco Olaf Scholz. «In alcuni Paesi i tassi di crescita sono in calo, l’inflazione è in aumento, il carburante scarseggia, le catene di approvvigionamento sono bloccate, la Russia sta usando l’energia come un’arma».
Allarme gas a Berlino in vista dell’inverno
I segnali per il futuro prossimo non sono certo buoni: la Germania ha appena attivato l’allarme nel piano di emergenza sul gas. La decisione, concordata nel governo del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz insieme con i partner liberali e verdi, è stata annunciata proprio dal superministro dell’Economia e del Clima Robert Habeck, che ha affermato come il gas sia «un bene scarso». L’inverno arriverà puntuale anche quest’anno, gli impianti di stoccaggio devono essere ancora riempiti, c’è l’intenzione di riprendere il carbone, mentre qualcuno insiste ancora sul nucleare che in teoria dovrebbe sparire dalla circolazione entro la fine dell’anno. Ma soprattutto non si sa quali siano le intenzioni vere di Vladimir Putin, che sul fronte europeo prosegue nel mandare messaggi trasversali.

In caso di blocco, il Pil tedesco potrebbe crollare di oltre 10 punti
Le forniture di gas, bloccate verso i Paesi che comunque possono farne a meno, continuano in maniera ridotta verso gli altri. Nordstream 1, che collega direttamente Russia e Germania, pompa molto poco, sempre comunque secondo i contratti pluriennali, mentre sul mercato spot i prezzi sono di nuovo risalti e continuano a riempire le casse russe, per chi vuole comprare ora e a queste somme. A Berlino la coalizione semaforo è in allarme, lo scenario peggiore di un blocco totale da parte russa tra qualche mese potrebbe far precipitare l’industria tedesca nel baratro, con previsioni pessimistiche di una caduta del Pil di oltre 10 punti. Il cancelliere e i suoi ministri hanno ripetuto in queste settimane che con la Russia il conflitto è aperto e non si rimarginerà certo in fretta, le sanzioni occidentali sono però necessarie per imporre al Cremlino la fine della guerra, ma è evidente che anche Berlino guarda prima di tutto agli interessi nazionali. E finora, comprese le sanzioni light in vigore dal 2014, Putin non sembra aver cambiato strategia.
Perché la Germania non può permettersi di rompere i ponti con la Russia
È chiara in ogni caso la differenza di vedute ad esempio con Londra, che con Boris Johnson non ha fatto mistero di voler mettere in ginocchio Mosca, insieme con tutti i Paesi della nuova Europa orientale: la Germania, un po’ come la Francia, non può permettersi invece di chiudere definitivamente la porta verso la Russia, non solo per la nota mappa dei gasdotti. La questione è più complessa e chiama in causa gli equilibri europei e transatlantici. Dopo il crollo dell’Unione sovietica Berlino, da Helmut Kohl ad Angela Merkel passando per Gerhard Schröder, ha costruito per quasi 30 anni la sua politica estera verso la Russia e verso la Cina, diventando nell’Unione Europea una locomotiva economica e assumendone la leadership, un gradino sopra la Francia.

Le mire di Washington e i maldipancia di Berlino
La guerra in Ucraina ha scardinato questo paradigma, facendo tornare dominante il Europa il ruolo degli Stati Uniti e della Nato. Un equilibrio che alla Germania sta un po’ stretto. E alla Francia pure. Se Washington punta quindi al ridimensionamento della Russia puntando alla Cina, proprio per tentare di mantenere quella uni-polarità che in realtà non c’è già più, le aspirazioni di Berlino vanno oltre la cieca obbedienza alle direttive transatlantiche, soprattutto in una fase in cui gli stessi Usa al loro interno non paiono un modello di coesione. Il fosso con la Russia insomma si è allargato, l’asse russo-tedesco è saltato, ma i ponti non sono stati tutti tagliati. Resta da capire cosa farà Putin fra qualche mese, al di là delle minacce che fanno parte della guerra della propaganda e dei nervi.