La guerra in Ucraina rischia di scatenare una crisi alimentare: l’allarme Fao
Il conflitto in Ucraina rischia di causare una crisi alimentare che potrebbe colpire milioni di persone in tutto il mondo. Ed evidenzia le debolezze del sistema già messo alla prova con la pandemia Covid. L'allarme della Fao.
La guerra in Ucraina, con il taglio delle materie prime e l’impennata dei prezzi, rischia di causare anche una gravissima crisi alimentare, con milioni di persone ridotte alla fame in tutto il mondo. L’allarme è stato lanciato dalla Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Il conflitto infatti, come già aveva fatto la pandemia da Covid, sta mettendo in evidenza le debolezze del sistema mondiale.
Quotazioni record per cereali e olio di girasole
I prezzi dei generi alimentari, già aumentati a causa della pandemia, stanno lievitando ulteriormente. «Avevamo già problemi con i prezzi del cibo», ha dichiarato il capo economista Fao Maximo Torero al Guardian, «ora la guerra potrebbe farci precipitare in una crisi alimentare». Il capo economista ha anche esortato i Paesi a mantenere aperti i sistemi alimentari e a condividere informazioni su scorte, raccolti e disponibilità di cibo, per cercare di risolvere i problemi di approvvigionamento. «Pensiamo che il gap possa essere ridotto in qualche modo, ma non al 100 per cento. I Paesi dovrebbero anche cercare di diversificare i propri fornitori». Se il conflitto dovesse continuare, è il ragionamento di Torero, i Paesi poveri già in ginocchio dopo due anni di Covid, sarebbero naturalmente i più colpiti. Per rendersene conto basta osservare l’andamento del prezzo dei cereali che ha raggiunto negli ultimi giorni livelli record nei listini delle Camere di commercio e Borse Merci nazionali: il grano ha toccato i 405 euro a tonnellata, quasi 80 euro/t in più rispetto a sette giorni prima, la farina è schizzata a +100 euro/t per tutte le varietà e il mais ben 87 euro a tonnellata in più.
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Ucraina e Russia rappresentano il 30 per cento dell’export di grano
Sono almeno 50 i Paesi le cui forniture di grano dipendono per il 30 per cento (e oltre) dalla Russia e dall’Ucraina che sono rispettivamente il primo e il quinto produttore mondiale. Non solo. Insieme i due Paesi rappresentano il 52 per cento delle esportazioni di olio di girasole e sono leader nella produzione di colza. Due terzi delle esportazioni ucraine sono state consegnate prima dell’aggressione russa, ma il resto è rimasto bloccato anche a causa della chiusura dei porti sul Mar Nero. Con ripercussioni pesantissime anche per il nostro Paese. A gennaio 2021 un chilo d’olio di girasole costava 1,10 euro, per poi salire a 1,30 euro. Ora raggiunge i 2,80 – 3 euro al chilo. La crisi non riguarda solo i generi alimentari, ma l’intero settore agricolo. Ucraina e Russia sono infatti anche i maggiori produttori di fertilizzanti, i cui prezzi già lievitati col caro energia ora sono alle stelle. L’impennata avrà un impatto ritardato che si vedrà il prossimo anno. Per dare una idea, l’Italia nel 2021 importava 140 milioni di euro di fertilizzanti da Ucraina, Russia e Bielorussia. Nel dettaglio secondo una analisi di Coldiretti 65 milioni dalla Russia, 20 milioni dalla Bielorussia e ben 55 milioni dall’Ucraina.

Quando Putin bloccò le esportazioni di grano nel 2010
Per questo i ministri dell’Agricoltura del G7 si sono incontrati venerdì chiedendo di mantenere aperti i mercati e non imporre restrizioni alle esportazioni. Come, invece, accadde proprio con la Russia nell’agosto 2010 quando Putin bloccò temporaneamente le esportazioni di grano dopo devastanti incendi che avevano mandato in fumo un quarto dei raccolti nazionali. L’embargo, in quel caso, doveva calmierare i prezzi interni salvando il bestiame che senza mangime sarebbe stato abbattuto. Uno scenario simile, se non peggiore, potrebbe riproporsi anche quest’anno. E le ricadute globali sarebbero gravissime.
Il report Fao del 2021 sulla resilienza dei sistemi produttivi in caso di shock
A rileggerlo ora, il rapporto sullo Stato dell’Alimentazione e dell’Agricoltura (SOFA) della Fao uscito nel novembre 2021 suona come una profezia. Lo studio infatti poneva l’accento sulla fragilità degli attuali sistemi agroalimentari considerati ancora poco resilienti e cercava soluzioni per affrontare shock improvvisi come quello causato dalla pandemia. A preoccupare era il rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia che poneva sfide significative ai Paesi e ai consumatori più poveri, spiegava la FAO. In caso di uno shock (eventi climatici estremi, nuove pandemie o infestazioni, ma anche conflitti) che avesse ridotto di un terzo i redditi, le persone che al mondo non avrebbero potuto permettersi una dieta sana sarebbero salite a 4 miliardi. In caso di interruzione di trasporti, l’aumento del cibo avrebbe avuto ripercussioni su 845 milioni di persone. Naturalmente i Paesi a basso reddito sono quelli più esposti, ma il rapporto metteva in guardia anche i Paesi a medio e alto reddito. In Brasile, per esempio, circa il 60 per cento del valore dell’export nazionale è legato a un unico partner commerciale. Australia o Canada sono ugualmente rischio di shock, a causa delle lunghe distanze previste per la distribuzione dei beni alimentari. Per quasi la metà dei Paesi analizzati, la chiusura di vie di collegamento critiche avrebbe portato a un aumento del 20 per cento dei tempi di trasporto facendo così lievitare i costi e i prezzi al dettaglio. Sulla base delle evidenze del rapporto, la FAO raccomandava ai governi di rendere la resilienza dei propri sistemi agroalimentari parte integrante della risposta strategica alle sfide presenti e future. Evidentemente non considerando l’ipotesi di una guerra nel cuore dell’Europa.
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