Russia, sempre più donne contro la guerra: cos’è la Feminist Anti-War Resistance

Camilla Curcio
30/03/2022

Dall'estero dove oggi si trovano, Daria Serenko ed Ella Rossman hanno creato la Feminist Anti-War Resistance. Il movimento conta già oltre 5 mila adesioni, si oppone al conflitto in Ucraina e ha organizzato diverse manifestazioni nelle città russe. La storia.

Russia, sempre più donne contro la guerra: cos’è la Feminist Anti-War Resistance

Il 23 febbraio Daria Serenko, attivista politica russa, è tornata in libertà dopo essere rimasta in carcere per 15 giorni. Aveva pubblicato su Instagram un post giudicato controverso. Il giorno dopo, il 24 febbraio, Vladimir Putin ha annunciato l’inizio della ‘operazione speciale’ in Ucraina. Impossibile per Serenko non reagire. E così insieme a una amica ha deciso di fare qualcosa. Quel qualcosa si è trasformato nella FAR, la Feminist Anti-War Resistance. Un movimento di resistenza al femminile contro l’invasione russa.

Come nasce la Feminist Anti-War Resistance

Fondato insieme all’amica Ella Rossman, femminista e storica residente a Londra, la FAR in poco più di un mese è riuscita a coinvolgere più di 5 mila persone. Oltre a condividere sui social foto delle proteste, volantini, adesivi e fanzine, le attiviste in molte città della Russia si sono date un primo appuntamento l’8 marzo per una manifestazione dedicata ai cittadini ucraini morti durante il conflitto. Aperto a chiunque (anche sui social, dove il gruppo Telegram ha già sfiorato la soglia dei 26 mila membri) e privo di qualsiasi gerarchia, il collettivo chiede ai partecipanti solo di condividere i valori fondamentali di cui si fa portavoce.

La resistenza delle donne di Mosca contro la guerra
Simboli e volantini del collettivo (Twitter)

«Come forza politica, il femminismo non può schierarsi dalla parte della guerra e dell’occupazione militare», proclamano le attiviste nel manifesto, tradotto in almeno 30 lingue. Pur operando principalmente a Mosca, la FAR punta a richiamare l’attenzione del resto del mondo, invitando le femministe a organizzare contestazioni pacifiche, prendere parte a campagne contro la guerra e, soprattutto, aiutare a combattere la disinformazione su quanto sta succedendo in Ucraina.

I motivi della crescente presenza di donne nelle manifestazioni contro la guerra

Il coinvolgimento delle donne nelle contestazioni delle ultime settimane è stato, rispetto al passato, di gran lunga più ampio ed evidente. «Noi facciamo posto a chiunque, riceviamo tanti messaggi di supporto anche dagli uomini. Ci sono diversi ragazzi che ci offrono il loro contributo e anche la comunità LGBT ci sta dando una grande mano», hanno puntualizzato Serenko e Rossman al Moscow Times, «però c’è da ammettere che la presenza femminile è sicuramente maggiore. Le donne fanno i picchetti, indossano vestiti blu e gialli e si impegnano a sensibilizzare l’opinione pubblica».

 

La resistenza delle donne di Mosca contro la guerra
Una delle contestazioni organizzate nelle ultime settimane (Twitter)

«Da tre anni a questa parte mi occupo, per interessi personali e accademici, di monitorare l’evoluzione del movimento femminista in Russia», ha aggiunto Rossman, «e, fino a oggi, sono riuscita a contare circa 45 gruppi e associazioni attivi nel Paese. Collaborano tra loro quasi quotidianamente e, avendo formato un network, sono in grado di mettersi in moto in tempi stretti».

A spingere ragazze di ogni età a prendere una posizione e a partecipare alla vita politica è stata anche la revisione del loro ruolo nella società, continua la storica: «Il posto della donna non è la casa e men che meno la cucina. Può e deve essere parte della realtà socio-politica in cui vive e avere il potere di cambiare le cose su cui non è d’accordo».

Ferme, decise e organizzate: l’identikit di chi aderisce alla  Feminist Anti-War Resistance

Da quando hanno iniziato a lavorare per la FAR, Serenko e Rossman dedicano dalle otto alle 12 ore al progetto. Entrambe hanno lasciato la Russia: la prima poco dopo l’inizio della guerra, la seconda dal 2021. «Non trovandomi lì, posso rivelare tranquillamente il mio nome», ha precisato Rossman. «Sin dall’inizio, abbiamo pensato fosse importante contare sull’appoggio di membri che non fossero costretti a nascondere la loro identità. Questo ci aiuta a mostrare che siamo credibili, siamo persone in carne e ossa e le nostre iniziative non sono trappole della polizia. Ovviamente, il fatto di trovarmi all’estero mi lascia lo spazio e la libertà di fare cose che i miei connazionali non possono fare».

Oltre all’organizzazione e all’impegno, il loro punto di forza è anche il fatto di essere state sottovalutate. «Le autorità non ci hanno mai prese sul serio in quanto donne», ha ribadito, «non si aspettavano fossimo così numerose, forti, determinate».

La resistenza delle donne di Mosca contro la guerra
Le attiviste italiane di Non Una di Meno hanno accolto l’invito delle femministe russe, unendosi alla protesta (Getty Images)

La Feminist Anti-War Resistance e l’atteggiamento del governo russo

Scendere in piazza e manifestare apertamente contro il governo russo implica dei rischi per tutti, indipendentemente dal sesso. Sin dall’inizio della guerra, infatti, i coraggiosi che hanno deciso di non tacere hanno dovuto affrontare arresti, detenzioni temporanee e pesanti maltrattamenti fisici. Indossare una t-shirt con lo slogan ‘No alla guerra’ costa una multa perché reputato offensivo nei confronti delle forze armate e persino condividere informazioni sui social è diventato un pericolo, soprattutto dopo l’entrata in vigore della legge che punisce, con pene che arrivano fino a 15 anni di carcere, quanti diffondono notizie che i vertici etichettano come fasulle. «Avvisiamo costantemente quanti decidono di unirsi a noi del fatto che non possiamo purtroppo garantire alcuna sicurezza», ha spiegato Rossman. «Nessun attivista in Russia è al sicuro».

La resistenza delle donne di Mosca contro la guerra
Una donna russa viene fermata dalla polizia durante una manifestazione contro la guerra (Getty Images)

FAR suggerisce ai suoi attivisti metodi utili a non dare troppo nell’occhio: dagli slogan sulle banconote a un dress code simbolico. «La situazione, in ogni caso, cambia giorno per giorno e quel che ieri era accettabile oggi potrebbe diventare proibito», spiega Rossman, «Una settimana fa, ad esempio, vestirsi di nero e girare con una rosa bianca in mano era permesso. Ora rischi il fermo». Il senso di comunità non si limita alle iniziative pubbliche. In caso di arresto, infatti, le responsabili si mantengono in contatto con chi è finito in prigione, forniscono assistenza e supporto psicologico e, a chi viene licenziato per i suoi ideali, offrono piccoli prestiti.