La storia ha tinte da film di spionaggio, con triangolazioni, accordi segreti, incontri, dichiarazioni mirate, giochi (politicamente) pericolosi. E a ripercorrerla ha un ché di incredibile. Già, perché la scorsa primavera, mentre i riflettori erano puntati sulle mosse di Stati Uniti e Gran Bretagna, un aiuto fondamentale all’Ucraina è arrivato dalla Bulgaria, Paese dell’ex blocco sovietico e tra i più poveri dell’Ue. E questo nonostante la presenza di una forte ala filo-russa al governo e in parlamento. Sottotraccia Sofia è infatti riuscita a rifornire di carburante e munizioni Kyiv. A rivelarlo è un’inchiesta della Welt e ripresa da Politico confermata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, dall’ex primo ministro bulgaro Kiril Petkov e dal suo ministro delle Finanze Assan Vassilev.
Gli equilibri instabili del governo Petkov e l’ala filo-Cremlino
L‘invasione della Russia, il 24 febbraio scorso, ha scosso gli equilibri della coalizione di governo retta da Petkov – filo occidentale, filo Nato e leader del partito Continuiamo il cambiamento – di cui facevano parte anche partiti pro Cremlino. Tanto che il primo marzo, il primo ministro aveva chiesto le dimissioni del titolare della Difesa Stefan Janev proprio per le sue posizioni apertamente filo-russe. In pubblico però Petkov ha sempre cercato di mantenere un profilo basso, negando invii di armi all’Ucraina e avvicinandosi per questo alle posizioni del premier ungherese Viktor Orban. Eppure, mentre i socialisti minacciavano di fare cadere il governo definendo l’invio di armi a Kyiv una “linea rossa” da non oltrepassare, Petkov e i suoi fedelissimi evitando transazioni dirette, attraverso società intermediarie aprivano rotte di rifornimento con l’Ucraina via terra attraverso Romania, Ungheria e Polonia. «Stimiamo», ha spiegato Petkov alla Welt, che circa un terzo delle munizioni necessarie all’esercito ucraino nella prima fase della guerra siano arrivate dalla Bulgaria». Non solo armi. Sofia ha procurato all’Ucraina anche diesel ottenuto dalla lavorazione del greggio russo in una raffineria del Mar Nero all’epoca di proprietà della Lukoil. La Bulgaria è diventata così, ha aggiunto Vassilev, «uno dei maggiori esportatori di gasolio in Ucraina, arrivando a coprire fino il 40 per cento del fabbisogno del Paese».

Le richieste di Kyiv e le dichiarazioni in Europa
Ricostruzioni confermate dal governo di Kyiv. Il ministro ucraino della Difesa Kuleba ha ricordato come lo scorso aprile il suo Paese avesse rischiato di rimanere senza munizioni. «Sapevamo che i magazzini bulgari erano ben forniti», ha dichiarato, «quindi il presidente Zelensky mi mandò in missione per ottenere il materiale necessario». Davanti alle sue richieste Petkov rispose che, nonostante la situazione interna fosse tutt’altro che semplice, avrebbe «fatto tutto ciò che era in suo potere fare». Il primo ministro si era mosso anche sul fronte europeo. Il 25 febbraio, all’indomani dell’invasione, durante una riunione informale del Consiglio europeo, aveva ribadito ai colleghi che Zelensky era sulla lista nera di Mosca, chiedendo al Consiglio di adottare immediatamente sanzioni contro la Russia. Una linea che poi venne sostenuta anche dalla Commissione europea. Contemporaneamente Vassilev durante un’Ecofin a Parigi mise in guardia i presenti non solo sulle conseguenze economiche della guerra ma su cosa Putin intendesse davvero con ‘denazificazione’ dell’Ucraina, ricordando come agirono i russi in Bulgaria nel Dopoguerra: «Uccisero migliaia di dissidenti, professori e sacerdoti».
La triangolazione con società dei Paesi Nato
Il 19 aprile, poco prima di una visita di Petkov a Kyiv, Kuleba si era recato a Sofia. Molte armi occidentali ancora non erano state consegnate e l’esercito ucraino aveva assoluto bisogno di munizioni, in particolare di fabbricazione sovietica. «La nostra industria militare privata stava producendo a pieno ritmo», ha ricordato Petkov. I filmati di aprile mostrano aerei cargo pieni di armi in volo tra la Bulgaria e la Polonia. L’aeroporto polacco di Rzeszów, a 70 chilometri dal confine ucraino e strettamente sorvegliato dalla Nato, è un importante punto di spedizione. Inoltre, ha aggiunto, «ci siamo assicurati che anche la rotta via terra attraverso la Romania e l’Ungheria fosse aperta ai camion». Come ha chiarito Kuleba, il governo bulgaro non fornì aiuti militari direttamente all’Ucraina. Ma società ucraine e società dei Paesi Nato avevano la possibilità di rifornirsi dai bulgari. Secondo le informazioni raccolte dalla Welt, le forniture furono pagate da Stati Uniti e Gran Bretagna. Secondo l’ex capo della Kintex, società statale bulgara che gestisce di spese militari, dall’inizio della guerra le esportazioni avrebbero toccato i 2 miliardi di euro.

L’export di diesel lavorato dalla raffineria Lukoil
E poi c’è il carburante. La Bulgaria ha una raffineria vicino a Burgas sul Mar Nero, allora gestita da una filiale di Lukoil e rifornita da petroliere russe. Vassilev chiese con successo alla società ad esportare il greggio in eccedenza in Ucraina. Del resto gli stessi dipendenti condannavano la guerra di Putin, ha ricordato l’ex ministro delle Finanze, aggiungendo: «Camion e autocisterne andavano regolarmente in Ucraina attraverso la Romania, e in alcuni casi il carburante veniva anche caricato sui treni merci». Da quest’anno la Bulgaria ha assunto la gestione della raffineria Neftochim Burgas per un massimo di un anno. L’impianto, da 196 mila barili al giorno – il più grande produttore di carburante in Bulgaria – è passato a lavorare solo greggio russo, dopo che a Sofia è stata concessa un’esenzione dal divieto dell’Unione europea sulle importazioni di petrolio russo. Dal 5 febbraio a tutto il 2024, la raffineria non potrà esportare combustibili o prodotti petroliferi, a eccezione delle consegne in Ucraina.

Le rappresaglie di Mosca
Le attività di Sofia non sono certo passate inosservate a Mosca. Petkov ha raccontato come da maggio la rete elettrica e gli uffici postali fossero stati oggetto di attacchi informatici, mentre tra marzo e giugno, la Bulgaria ha espulso circa 70 dipendenti dell’ambasciata russa per spionaggio. Non a caso il 27 aprile la Bulgaria è stata il primo Paese Ue, insieme con la Polonia, a cui Gazprom ha interrotto le forniture di gas. Problema che venne risolto grazie al gnl statunitense. Il governo Petkov è poi caduto sotto i colpi della sfiducia durante l’estate. Dopo un periodo di stallo, il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, ha conferito mandato per la formazione di un nuovo esecutivo al Partito socialista (Bsp). Intanto, è notizia di pochi giorni fa, qualche nodo sta venendo al pettine. Il ministro della Difesa Nikolai Milkov si è detto all’oscuro della vendita di un lotto di aerei Su-35 alla Nato per la successiva fornitura all’Ucraina. «Non ho informazioni a riguardo ed è la prima volta che ne sento parlare», ha dichiarato a commento di una notizia pubblicata da Bloomberg secondo cui tra le dotazioni militari fornite a Kyiv ci sarebbero 14 aerei d’attacco Su-25 di fabbricazione sovietica venduti da Sofia agli Stati membri della Nato per il successivo trasferimento in Ucraina.