Bucha e la zachistka: le precedenti operazioni di pulizia dei russi in Cecenia

Redazione
04/04/2022

L'esercito russo nella cittadina a nord ovest di Kyiv avrebbe seguito un copione già sperimentato durante le due guerre in Cecenia. A partire dal massacro di Novye Aldy.

Bucha e la zachistka: le precedenti operazioni di pulizia dei russi in Cecenia

L’esercito russo la chiama semplicemente zachistka. Operazione di pulizia. Una battaglia casa per casa, con l’uccisione di civili. È quello che secondo il governo ucraino è accaduto a Bucha, cittadina a nord ovest di Kyiv dopo la ritirata russa. Un modus operandi che Mosca ha utilizzato in passato anche in Siria, ad Aleppo, e nelle guerre cecene.

Il massacro di Bucha e le richieste del governo dell’Ucraina

Le immagini dei cadaveri lungo le strade di Bucha, vittime per le autorità locali di esecuzioni sommarie e arbitrarie da parte dei militari russi hanno choccato la comunità internazionale. «I russi mirano a eliminare il maggior numero possibile di ucraini. Dobbiamo fermarli e cacciarli. Chiedo ora nuove devastanti sanzioni del G7», ha twittato il 3 aprile il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.

 

Qualche ora dopo ha aggiunto alle richieste «carri armati, aerei da combattimento, sistemi di difesa aerea pesanti».

La condanna dell’Ue e l’ipotesi di bloccare le importazioni di combustibili dalla Russia

Per Kyiv si tratta di genocidio, mentre Mosca continua a parlare di provocazione e di fake news orchestrate dagli ucraini per bloccare i negoziati. Dura la reazione dell’Ue. «L’Unione europea condanna con la massima fermezza le atrocità denunciate dalle forze armate russe in una serie di città ucraine occupate, che ora sono state liberate», ha affermato in una nota l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell. «L’Ue continuerà a sostenere fermamente l’Ucraina e avanzerà con urgenza nell’elaborazione di ulteriori sanzioni contro la Russia». Per la ministra della Difesa tedesca Christine Lambrecht l’Europa dovrebbe discutere lo stop all’importazione di gas russo. Una mossa già avviata dalla Lituania, primo Paese Ue che ne ha bloccato l’import. Sulla stessa linea Emmanuel Macron che ha chiesto ulteriori sanzioni all’export di carbone e petrolio. A sorpresa in nottata il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è intervenuto ai Grammy chiedendo un «aiuto, ma non col silenzio». Poco prima in un discorso alla nazione aveva annunciato la creazione di un «meccanismo speciale» per indagare sui crimini di guerra compiuti dalla Russia. «Voglio che ogni madre di ogni soldato russo veda i corpi delle persone uccise a Bucha, a Irpin, a Hostomel», ha dichiarato Zelensky definendo i soldati russi «assassini», «torturatori» e «stupratori».

Mosca convoca una riunione speciale del Consiglio di sicurezza dell’Onu

Dal canto suo Mosca ha convocato per lunedì una riunione speciale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per difendersi dall’accusa di aver commesso atrocità e crimini di guerra. «Alla luce dell’odiosa provocazione degli ucraini a Bucha, la Russia ha richiesto una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lunedì 4 aprile», ha twittato domenica su Twitter Dmitry Polyanskiy, vice ambasciatore russo alle Nazioni Unite.

 

«La Russia sta attingendo dal copione che ha usato per la Crimea e Aleppo: costretta a difendere l’indifendibile (qui, le atrocità di Bucha). Mosca sta convocando una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in modo da poter fingere indignazione e chiedere responsabilità», ha twittato Samantha Power, ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite.

Le pulizie dell’esercito russo durante le guerre cecene

Il massacro di Novye Alde del febbraio 2000

Il massacro di Bucha richiama alla memoria altre ‘operazioni’ simili dell’esercito russo. Altre pulizie. E altri tentativi di negare o insabbiare l’orrore. In Cecenia, per esempio. Il 5 febbraio 2000, i soldati russi giustiziarono sommariamente dozzine di civili nel villaggio ceceno di Novye Aldy, alle porte di Grozny. Il bilancio ufficiale fu di 56 morti, soprattutto donne e anziani, tra cui un bambino di un anno e la madre. Come ha riportato Open Caucasus Media il 10 febbraio 2017, 17 anni dopo l’eccidio, per i sopravvissuti le forze russe condussero l’operazione di pulizia senza che ci fossero state provocazioni. Alcuni sopravvissuti chiesero giustizia alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo (Cedu) col sostegno del Memorial e del Centro europeo per il patrocinio dei diritti umani, EHRAC, di Londra. Il 12 ottobre 2006, la Corte ritenne responsabile l’esercito russo dell’esecuzione sommaria di cinque membri della famiglia Estamirov, tra cui una donna incinta e un bambino di un anno. La Corte osservò come Mosca non avesse fornito alcuna spiegazione di come quelle vittime fossero collegate alle altre uccisioni nella stessa zona e avesse violato l’obbligo di condurre un’indagine adeguata, rifiutandosi di pubblicare i documenti relativi alle indagini. Il 26 luglio del 2007 la Corte ritenne responsabile la Russia anche nei casi Musayev, Labazanova e Magomadov. I tre ricorsi riuniti in un solo caso riguardavano l’omicidio di 11 civili commessi sempre a Novye Aldy dall’unità speciale di polizia di San Pietroburgo OMON.

L’operazione di Alkhan-Kala nel giugno 2001

Sempre nel 2000, le truppe russe condussero altre “operazioni speciali” come quella di Novye Aldy. Secondo il Memorial Human Rights Centre, questi massacri non sono episodi casuali o tragiche eccezioni. Nel suo rapporto sulla situazione in Cecenia del 2000, l’associazione per la difesa dei diritti umani cofondata da Andrej Dmitrievič Sacharov aveva sottolineato come le autorità russe si fossero rifiutate di indagare sui crimini di guerra. «A nostro avviso», scrisse il Memorial, «questa è una conseguenza naturale del nichilismo deliberatamente mostrato dalle autorità russe durante il primo e il secondo conflitto armato in Cecenia: violazione delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto umanitario internazionale, violazione delle leggi russe e la mancanza di qualsiasi volontà di punire i colpevoli di questi crimini contro la popolazione civile». Il 22 giugno 2001 un’altra operazione di ‘pulizia’ fu commessa ad Alkhan-Kala, un villaggio a sud ovest di Grozny e paese natale di Arbi Barayev, considerato un alleato di Osama Bin Laden e uno dei più spietati signori della guerra ceceni. La battaglia casa per casa durò sei giorni e portò alla distruzione del villaggio.

le operazioni di pulizia della russia in cecenia e in ucraina
Combattimenti a Grozny nel 1995 (Getty Images).

Le sparizioni di Tsostin-Yurt nel dicembre 2001

Il 30 dicembre 2001 fu la volta di Tsostin-Yurt, un centro vicino ad Argun a sud-est di Grozny. Secondo il Memorial, l’operazione che terminò il 3 gennaio 2002  fu caratterizzata da gravi e massicce violazioni dei diritti umani e della legge russa. Tra le accuse saccheggi, distruzione di case, profanazione di una moschea, percosse e torture a circa 100 detenuti. Undici di questi sparirono nel nulla e cinque vennero assassinati. Fu segnalato anche l’uso di civili come scudi umani. Il bilancio stimato alla fine fu dai 37 agli 80 civili massacrati.

Il battaglione Vostok a Borozdinovskaya nel giugno 2005

Il 4 giugno 2005 il battaglione speciale ceceno Vostok fece scomparire o uccise una decina di persone principalmente di etnia avara a Borozdinovskaya, villaggio al confine col Daghestan. Un 77enne venne trovato crivellato di colpi per la strada mentre 200 uomini furono radunati nel palazzetto dello sport e picchiati. In un primo momento la polizia cecena filo-Mosca dichiarò che erano stati arrestati 11 simpatizzanti separatisti e che due ribelli erano stati uccisi nei combattimenti. Successivamente i russi scaricarono la responsabilità sulle forze separatiste che avrebbero agito una volta che le truppe Vostok avevano lasciato il villaggio. Il 27 ottobre 2005 Mukhadi Aziyev, comandante del battaglione fu condannato dal tribunale militare a tre anni con sospensione della pena per abuso di potere. La richiesta di risarcimento da parte dei superstiti al ministero della Difesa russo fu respinto. A giugno 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia a pagare quasi due milioni di euro ai parenti degli 11 scomparsi di Borozdinovskaya. Secondo i critici, Vladimir Putin avrebbe ignorato le segnalazioni di abusi e violazioni della legge russa da parte del leader ceceno Ramzan Kadyrov figura necessaria al presidente russo per controllare i separatisti dell’area.

Le sentenze della Cedu sono vincolanti per i membri della Convenzione europea sui diritti umani ratificata dalla Russia nel 1998. Il 15 marzo scorso però Mosca ha lasciato il Consiglio d’Europa con l’intenzione di denunciare la Convenzione dopo che l’Assemblea parlamentare dell’organismo aveva approvato un documento che chiedeva l’immediata espulsione di Mosca a causa dell’invasione dell’Ucraina. Mosca in passato aveva contestato spesso le sentenze a suo sfavore e nel 2015 ha varato una legge che le consente di annullare le sentenze della Corte europea per i diritti umani di Strasburgo.

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