Guerra in Ucraina: da Huawei a Philip Morris, le aziende che non hanno lasciato la Russia
A fronte di tanti boicottaggi (finalmente si sono decisi anche McDonald's e Coca-Cola), c’è chi ha deciso di non rompere i ponti con Mosca. Ecco chi opera ancora nel Paese.
Da Ikea a Airbnb, fino a Apple e Heineken, passando finalmente per Coca-Cola e McDonald’s, che ha appena annunciato la chiusura temporanea dei suoi 850 punti vendita in Russia. Sono tantissime le aziende che hanno detto addio (almeno momentaneamente) al Paese che ha attaccato l’Ucraina, in segno di protesta contro il Cremlino. Ma a fronte di tanti boicottaggi, c’è anche chi ha deciso di non rompere i ponti con Mosca. Ad analizzare il comportamento di cento grandi aziende mondiali, tra cui venti italiane, è l’organizzazione non profit The Good Lobby, che insieme alla start up Progressive Shopper ha creato il Corporate Index delle aziende a sostegno dell’Ucraina. Risultano ancora operanti in Russia le italiane Ferragamo e Ferrero, con i marchi Nutella, Ferrero Rocher e Kinder.

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Guerra in Ucraina: Bayern comunica che non lascerà la Russia
Il colosso farmaceutico Bayer, riporta The Good Lobby, ha fornito assistenza economica alla popolazione dell’Ucraina ma ha comunicato che non lascerà la Russia. La multinazionale del tabacco Philip Morris ha invece sospeso le sue operazioni in Ucraina, continuando a operare in Russia. Restano regolarmente aperti poi gli hotel targati Hyatt, Marriott e Hilton. Non ha intrapreso alcuna azione Alibaba, gigante cinese dell’e-commerce. E sempre a proposito di Cina, al momento nemmeno Lenovo e Huawei sembrano intenzionate ad abbandonare Mosca. Per quanto riguarda il settore degli alcolici, nessun provvedimento per adesso da parte di Bacardi, Beam Suntory e Brown-Forman.

Guerra in Ucraina: KFC sospende gli investimenti in Russia, ma non chiude
Continuano poi a operare in Russia Burger King, Mars e Nestlé, che ha chiuso comunque temporaneamente tre stabilimenti nel Paese. KFC ha annunciato di aver sospeso gli investimenti in Russia, in un momento di grande crescita, ma i ristoranti della catena risultano ancora aperti. Operano poi regolarmente Procter & Gamble e la catena di abbigliamento giapponese Uniqlo, che ha difeso apertamente la decisione di non bloccare i suoi affari nel Paese.