Soldati volontari serbi impegnati nell’addestramento, pronti a combattere in Ucraina nel Gruppo Wagner. È quanto mostra un video girato dalla milizia paramilitare creata dal “cuoco di Putin” Yevgeny Prigozhin, realizzato in lingua serba per incoraggiare il reclutamento di nuovi soldati da dispiegare nel conflitto in corso. Il filmato, diffuso da Ria Novosti, è stato aspramente criticato dal presidente della Serbia, Aleksandar Vucic: «Non permettiamo l’arruolamento dei nostri cittadini, è vietato nel nostro Paese e non è conforme alle nostre leggi», ha detto a margine dei lavori del World Economic Forum di Davos.
A group of militants from #Serbia undergoes combat training in the camps of PMC Wagner in Zaporozhye province of #Ukraine within a “volunteer battalion”. #UkraineWar pic.twitter.com/6TtUGGiQrp
— Ali Hajizade (@AHajizade) January 17, 2023
L’ambigua posizione della Serbia sul conflitto in corso
Se da una parte Vucic si smarca dal Gruppo Wagner e dunque dal Cremlino, dall’altra il video rimarca che i rapporti tra Belgrado e Mosca sono almeno ambigui. Vucic ha affermato di non parlare con Vladimir Putin «da molti mesi», ribadendo la neutralità rispetto alla guerra in Ucraina. Il suo governo ha ripetutamente rifiutato di aderire alle sanzioni occidentali, nonostante la Serbia abbia costantemente votato a favore delle risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano l’aggressione da parte della Russia. In settimana Vucic ha dichiarato: «Per noi la Crimea e il Donbass sono Ucraina e tali rimarranno». Però intanto, a settembre ha firmato un accordo con la Russia per “consultazioni” reciproche su questioni di politica estera. Insomma, la Serbia è ufficialmente candidata all’adesione all’Ue, ma continua a guardare a est, dando priorità all’amicizia di lunga data con la Russia piuttosto che alle sue ambizione europee.

Mercenari serbi hanno già combattuto nel Donbass nel 2014
Come detto da Vucic, è illegale per i serbi prendere parte a conflitti in terra straniera e il numero di reclute serbe assoldate dal Gruppo Wagner non sembra essere significativo. Inoltre, la cosa non è esattamente una novità: alcuni cittadini serbi hanno già combattuto al fianco delle forze russe nella guerra del Donbass del 2014, sempre senza alcun tipo di appoggio ufficiale. A seguito di quanto accaduto, i tribunali serbi avevano condannato più di venti persone per aver preso parte a «combattimenti su fronti di battaglia stranieri». Dopo la diffusione del video, un gruppo di associazioni no war, assistite da un avvocato di Belgrado, ha sporto denuncia contro l’ambasciatore russo e il capo della Bezbednosno-informativna agencija (l’intelligence serba) per presunto reclutamento di serbi da parte del Gruppo Wagner.
Graffiti in Belgrade #Serbia from #Wagner fans. There has been reports #WagnerGroup has established a foothold in the country through the Orly Center and is actively recruiting fighters. pic.twitter.com/Yg9iI9w3xh
— alleyesonwagner (@alleyesonwagner) January 17, 2023
Tutto questo mentre nella Capitale, dove i murales provocatori sono incredibilmente comuni, l’emblema del teschio del Gruppo Wagner è apparso su un muro del centro città: opera della People’s Patrol, organizzazione di estrema destra no vax, contro i migranti, contro i musulmani ma, certamente, non contro l’invasione dell’Ucraina. E non è la prima volta che accade qualcosa del genere: sui muri di Belgrado erano già comparsi graffiti pro-Wagner.
Il legame con Mosca e la frenata dei negoziati di adesione all’Ue
Gli sforzi per il reclutamento da parte del Gruppo Wagner non sono passati inosservati a livello diplomatico. L’ambasciatore statunitense Christopher Hill ha detto di aver apprezzato le parole di Vucic che ha stigmatizzato «la minaccia alla pace e alla stabilità rappresentata dal Gruppo Wagner, potenzialmente operante in Serbia». La presa di posizione di Vucic ha ricevuto il plauso di Washington, ma non è bastata a impressionare il Parlamento europeo: per la seconda volta, gli eurodeputati hanno approvato una risoluzione che chiede la sospensione dei negoziati di adesione fino a quando la Serbia non accetterà le sanzioni comminate alla Russia.

Forniture di gas a buon mercato, partecipazione maggioritaria di Gazprom nella compagnia petrolifera serba Nis, rifiuto della Russia di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Mentre l’Ue continuava a mostrare scarso entusiasmo per l’adesione dei Paesi dei Balcani occidentali, la Serbia manteneva legami amichevoli con Mosca. Dall’invasione dell’Ucraina le carte in tavola sono cambiate. Bruxelles, forse tardivamente, si è resa conto che la sua reticenza lasciava spazio all’ingerenza di Mosca. Ha così avviato i colloqui di adesione con Albania e Macedonia del Nord, concedendo poi alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato. Nel frattempo, il governo di Belgrado ha incassato la propaganda di Putin, che ha fatto riferimento alla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo (con cui i rapporti sono tesissimi) come giustificazione per il riconoscimento dell’indipendenza delle aree occupate dell’Ucraina orientale. Insomma, se il presidente della Serbia ha aspettato un momento per orientarsi decisamente verso Occidente, potrebbe essere appena arrivato: «So che l’Ue è la nostra strada. Non ci sono altri percorsi», ha detto. Le parole ci sono, adesso i fatti.