Ménace à trois

Giovanni Corneliani
29/06/2021

Al di là dell'esito, la guerra Conte-Grillo preoccupa il governo. Se l'avvocato strappasse creando un nuovo partito, pungolerebbe Draghi sui temi cari al Movimento. Mentre un M5s senza leader difficilmente resterebbe quieto in maggioranza.

Ménace à trois

I tempi adesso non sono un dettaglio e chi conosce Beppe Grillo lo sa bene. Ieri il cofondatore del M5s avrebbe voluto rispondere subito, a caldo, a Giuseppe Conte. Avrebbe voluto dirgli che i valori del Movimento non possono essere traditi, che lui ne è il depositario, che già ha fatto concessioni enormi al leader in pectore e che nessuno può chiamare a votare gli iscritti senza il suo consenso.

Eh sì, perché al di là dei pugni metaforicamente sbattuti sul tavolo dall’ex premier, pugni di ferro in guanti di velluto tipico del suo stile felpato, il passaggio più indigesto per il comico genovese non è stato tanto quello dell’ultimatum sulla bozza di Statuto che Conte ha consegnato oggi a lui e al reggente Vito Crimi come un pacchetto chiuso, prendere o lasciare, ma la chiamata al voto degli iscritti, senza passare dal garante: uno schiaffo che Grillo non si aspettava. A rigor di Statuto, lo stesso Crimi, in qualità di membro anziano del Comitato di garanzia, potrebbe convocare l’assemblea forzando la mano al garante, ma è una scelta senza precedenti e non sarà certo “Vituzzo” a forzare la mano.

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Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio con Vito Crimi, reggente del M5s (Getty Images).

I contiani di ferro, i filo-Grillo e l’incognita Di Maio

Sulla solidità di un eventuale compromesso in molti esprimono forti dubbi. Eppure i pontieri lavorano con lena instancabile. Da una parte i contiani di ferro come il ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, la vice presidente del Senato, Paola Taverna, il capogruppo dei senatori M5s, Ettore Licheri, l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede. Dall’altra, l’ex socio di Rousseau e per anni anima editoriale del Blog di Grillo, Pietro Dettori, che l’altro giorno, quando l’Elevato ha fatto il suo show in assemblea con i parlamentari, lo ha seguito come un’ombra in tutti i suoi spostamenti. Fedeli al comico ligure, pur speranzosi in una mediazione, sono la presidente della Commissione Banche Carla Ruocco, l’ex ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli o l’ex presidente della Commissione Cultura della Camera, il fichiano Luigi Gallo. «Occhio invece a Di Maio e soprattutto ad alcuni dei suoi», spiega un’altra fonte. «È vero che tutto vorrebbero tranne che tornare al M5s barricadero delle origini con Grillo che fa il bello e cattivo tempo, ma molti di loro mal tollerano Conte e preferirebbero la gestione del potere dentro lo schema della leadership collegiale votata negli Stati generali e poi accantonata per far spazio all’avvocato pugliese».

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L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte (Getty Images).

Lo spettro di una scissione e le ricadute sul governo

In ogni caso, le dinamiche interne del partito di maggioranza relativa non possono che mettere in ansia il governo. Se si consumasse il divorzio tra Grillo e Conte cosa accadrebbe? La scissione nel gruppo parlamentare sarebbe certa e l’ex premier, che pure ancora adesso nega di voler metter su un partito ex novo, a quel punto sarebbe costretto a cambiare schema. Sicuramente porterebbe dalla sua parte grandissima parte dei senatori stellati e almeno 70-90 deputati (ma il conto è difficile), pur con tutti gli impacci di non poter creare, almeno a Palazzo Madama, un gruppo parlamentare da subito. Conte, pur non abbandonando da subito la maggioranza e mantenendo una coerenza di facciata rispetto all’appoggio al governo Draghi, certamente lavorerebbe ai fianchi l’esecutivo per definire e dare risalto all’identità del nuovo soggetto politico. Insomma, l’ex premier terrebbe sulla graticola il suo successore con contini distinguo e punzecchiature soprattutto su temi come la giustizia o la transizione verde. E sicuramente rilancerebbe i temi delle riforme istituzionali in ottica di stabilizzazione dei governi e delle maggioranze. Peraltro, a quel punto sarebbe proprio Conte, e non più il M5s, l’interlocutore privilegiato del Pd in chiave alleanze. I tempi per le Amministrative sono troppo stretti, ma il giurista pugliese potrebbe impostare con tranquillità il lavoro in vista delle politiche.

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Il cofondatore e garante del M5s Beppe Grillo (Getty Images).

Il futuro incerto di un M5s senza leader

Dall’altra, ciò che rimarrebbe di un M5s senza leadership, e appeso agli umori di Grillo, conoscerebbe una deriva naturale verso antiche posizioni anti-sistema, alla ricerca di una rigenerazione di lotta e in nome della purezza smarrita.

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Ovviamente, dall’esterno, Alessandro Di Battista e i suoi guarderebbero con forte interesse a questa evoluzione (o involuzione?): basta leggere le parole dell’altro giorno di Nicola Morra («Il Movimento doveva mantenere la sua peculiarità, doveva essere leaderless») per capire che molti ex stanno alla finestra e non vedono l’ora di poter rientrare in una forza politica magari ridimensionata elettoralmente, ma pronta a rinnovare la battaglia sui temi storici del Movimento 5 stelle. Insomma, è difficile immaginare che un partito ri-grillizzato possa rimanere buono e a cuccia in maggioranza. In tutti i casi, benché i numeri non consentano di immaginare una caduta dell’esecutivo voluto dal presidente Mattarella, non si tratta di buone notizie per Mario Draghi.