Lo stigma ce l’hanno scritto in faccia, non hanno nemmeno bisogno di un segno di riconoscimento per essere discriminati. Basta guardargli la pelle (non il colore, ma la consistenza), il modo di vestire e di muoversi, sentire come parlano e cosa ascoltano. Non serve nemmeno un documento speciale, c’è già la carta d’identità a smascherare la minoranza più discriminata e colpevolizzata dal governo Meloni: i giovani. Del resto un esecutivo di estrema destra qualche categoria la deve pur perseguitare, altrimenti perde la sua ragion d’essere. E siccome con gli ebrei non si può più (anzi, adesso bisogna esibire occhi umidi e abbracci fraterni con i vertici della comunità ebraica), con gli immigrati è meglio non andarci giù troppo pesante, perché ci si mette nei guai con la legge, con l’Europa e perfino con la Chiesa, e i partiti d’opposizione stanno facendosi da soli più male di quanto potrebbe fargliene l’Ovra, restava solo un gruppo sociale contro cui scagliarsi con poca spesa e molta resa sotto il profilo del consenso: gli italiani e le italiane che hanno appena smesso l’apparecchio dei denti e non hanno ancora bisogno dell’apparecchio acustico, ma mostrano una sospetta confidenza con diabolici apparecchi moderni come pc e smartphone.

Dopo il decreto rave e la stretta sul bonus ai 18enni, mancava l’idea di abolire lo Spid
Per quel che abbiamo capito, le fasce che il governo Meloni ha più a cuore sono i prodotti del concepimento («vogliamo dare alle donne la libertà di non abortire») e coloro che non concepiscono più («riduciamo il bonus ai 18enni per rimpinguare le pensioni»). A quelli che stanno in mezzo, mazzate. E più sono giovani, più mazzate gli diamo. Fin dal primo giorno, presentando un decreto fuori di testa che criminalizza i rave party senza saperne una beata fava se non che sono frequentati da ragazzi e la musica non è la compilation di Al Bano. Poi sono venute la stretta sul RdC, ovvero colpire cento poveri per “rieducare” un giovane divanista, e la stretta sul bonus ai 18enni, che diventa la mancetta per il 100 alla maturità (in genere prerogativa di studenti provenienti da famiglie istruite e non povere). E anche la ventilata abolizione dell’utilissimo Spid e delle salvifiche ricette elettroniche (prorogate all’ultimo minuto di un anno) va nella stessa direzione. Perché molti over 70 non ci si raccapezzano con la stramaledetta Internet, e si incavolano, anche se hanno lo smartphone per nonni dello spot con Cappuccetto Rosso. Ogni volta gli tocca chiedere aiuto al figlio o alla nipote che, tric tric, in due secondi sistemano tutto, ma poi li trattano da rincoglioniti perché si scordano pin e password, anche se tutte le sere loro indovinano la parola all’Eredità mentre concorrenti giovani brancolano nel buio.
Con un indice di vecchiaia del 187,5 per cento che paura possono fare i ragazzi?
Non sono necessarie teorie pseudoscientifiche o travisamenti filosofeschi per sostenere l’anti-giovanismo, com’è accaduto per il razzismo. Basta l’insofferenza diffusa di un Paese a maggioranza senile verso chi è fisicamente e mentalmente più fresco e sano e dunque meglio sintonizzato con una realtà in continuo mutamento. Chi aveva 20 anni nel Sessantotto, che l’abbia fatto o no, sa di cosa sono capaci i giovani quando alzano la voce. E se allora non lo temeva, o magari lo appoggiava, ora ne ha un oscuro terrore. Un terrore del tutto ingiustificato: la forza dei giovani negli anni della contestazione non stava solo nell’età, ma nel numero. Erano tanti, così come tanti erano negli Anni 70. Ma in un’Italia con un indice di vecchiaia sestuplicato rispetto al 1951 (dal 33,5 al 187,5 per cento) che paura possono fare i ragazzi?

La giovinezza è una patata bollente da trasformare in un tiepido purè gradito alla terza età
Ci sono cinque nonni per ogni bambino. Cinque nonni che grazie a decenni di welfare hanno pensione, salute discreta e longevità da record, e un solo sparuto bambino, che a causa delle scelte dei cinque nonni e dei 10 bisnonni erediterà un clima impazzito e un debito pubblico grande come Giove cui si sottrarrà solo per la diminuzione della speranza di vita. Bisognerebbe compatirlo e sostenerlo, povero piccolo, e invece viene malvisto fin dalla culla: evitato come la peste come vicino di posto in treno o in aereo, allontanato dal cortile dove vorrebbe giocare, deprecato se non sta fermo e zitto al ristorante ma anche se gioca col cellulare che i genitori gli hanno dato per farlo stare fermo e zitto. E quando cresce le cose peggiorano: l’adolescenza è considerata di per sé una patologia propedeutica ad altre patologie (tossicodipendenza, disturbi alimentari eccetera), la giovinezza una patata bollente da mettere al più presto in uno schiacciapatate lavorativo o accademico (a seconda del censo) per trasformarla nel tiepido purè gradito alla terza età. Un purè sempre più scarso, vista la progressiva diminuzione delle patate (e il doppio senso grassoccio ci sta: causa calo demografico oggi ci sono meno donne feconde, e quindi domani ancora meno bambini). Il governo attuale è la perfetta espressione dell’umore dei cinque nonni, più o meno biliosi, più o meno nostalgici, ma tutti decisi a conservare i propri privilegi rispetto alle generazioni più giovani. La visione dell’esecutivo rispetto al loro futuro si riassume nella lista di mestieri più richiesti indicata dal ministro dell’Istruzione Valditara nella lettera ai genitori alla vigilia della scelta della scuola superiore per i figli: «Geometra di cantiere, manutentore termoidraulico, addetto al call center, social media manager». L’unica buona notizia sta in quest’ultima indicazione: evidentemente il governo non ha intenzione di abolire anche Internet. O meglio: forse voleva ma poi ci ha ripensato.