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Meloni e il governo influencer fatto di narrazioni e zero spiegazioni

Il segreto per governare? Occuparsi della narrazione, fregarsene delle spiegazioni. Basta sfornare decreti intonati agli hashtag per dare l’impressione di rispondere alle ‘emergenze’. Che siano rave o femminicidi. Salvini può spacciarsi per Brunelleschi e Meloni come nuova Mattei. Per smascherarli, basterebbero domande serie.

10 Giugno 2023 09:04 Giulio Cavalli
Meloni e il governo influencer fatto di narrazioni e zero spiegazioni

Il segreto per governare? Occuparsi della narrazione, fregarsene delle spiegazioni. La frase è di Vitalba Azzolini con cui qualche giorno fa discutevo della narrazione (appunto) tutta sbagliata del “patto sui migranti” licenziato in Europa. Piegare la realtà alla narrazione ha, per chi gestisce il potere, molti vantaggi: permette di fingere di essere sempre “contemporaneo” alle crisi e ai problemi. Usare i decreti legge come se fossero tweet nell’enorme timeline del Paese, proprio così. Come certi influencer che hanno un’opinione su tutto e che rapidamente la confezionano per farne un post che rientri nei trend della giornata, il governo Meloni ha una risposta prêt-à-porter. I telegiornali raccontano di un rave party in una sperduta località della provincia italiana? Pronto il decreto rave. Gli sfinteri si sono immediatamente chetati. Passano i mesi: è servito quel decreto? Ha avuto successo? È stato applicato? Nessuno lo sa, nessuno se ne interessa, niente di niente. Ciò che contava era confezionare un bel post in bella mostra sulle proprie bacheche social.

A Verona? «Solo mele marce». E ancora una volta addio a numero identificativo per le forze dell’ordine

Ancora. La stampa si innamora di un femminicidio perché i protagonisti hanno e fattezze perfette per essere una coppia di influencer anche da omicida e da ammazzata? Pronto un decreto contro i femminicidi. Da giorni i giuristi e le associazioni fanno notare che quel decreto nulla avrebbe potuto con l’assassino Alessandro Impagnatiello. Non importa. Volevate una risposta di legge che rispettasse il trend? Eccola. Ciò che conta è che il decreto stia bene con l’hashtag. A Verona dei poliziotti, probabilmente coperti da molti altri poliziotti, hanno pestato dei poveretti che hanno la colpa di essere fragili e neri? Nessun problema, ecco la reazione: «Solo mele marce». Interviene la magistratura e smentisce la prima narrazione: «Eh no, caro governo, qui si tratta di qualcosa di sistemico». Pronta la nuova narrazione. Dal governo ci dicono che l’indagine che ha scoperchiato le violenze li rende ancora più fieri della polizia italiana. Hanno ragione, dicono bene. Solo che fino all’altro ieri chi pronunciava quella stessa frase veniva accusato di disonorare le forze dell’ordine. Vai a capire. Una cosa è certa: in questo caso un decreto sarebbe stato facile, body cam e numero identificativo per le forze dell’ordine, una garanzia per i cittadini ma anche per la stragrande maggioranza delle forze dell’ordine che svolge professionalmente il proprio mestiere. Niente di niente.

Salvini, il novello Brunelleschi della giravolta

A proposito di narrazione. Il ministro Matteo Salvini da circa 10 giorni sta paragonando la costruzione del Ponte di Messina (che giurano in molti non si farà mai) alle più significative opere d’arte che rendono famosa l’Italia nel mondo. Secondo la sua narrazione, Salvini dovrebbe essere il nuovo Brunelleschi che studieranno a scuola i nostri figli. Sui dubbi di geologi e ingegneri invece nessuna risposta, nemmeno una parola. La lezione è questa: occuparsi della narrazione, fregarsene delle spiegazioni. Appunto. A proposito: il ministro Salvini era lo stesso che qualche anno fa dava del “matto” a chi voleva regolamentare le biciclette. Passa qualche anno, decide di vessare i ciclisti. Qualcuno glielo fa notare. Risposta? Nessuna. Perché ciò che conta per una buona narrazione è avere la possibilità di non rispondere alle domande giuste e avere il potere di trovare camerieri che pongano le domande facili e sbagliate.

Salvini paragona il Ponte sullo Stretto alla Cupola di Brunelleschi: e quella perde i pezzi
Matteo Salvini Ponte sullo stretto cupola Brunelleschi

Meloni, la “nuova Mattei” che vuole salvare l’Africa (cioè chiudere i porti di partenza)

La narrazione dice che Giorgia Meloni improvvisamente si sia affezionata alle difficoltà e alle piccole disperazioni quotidiane che costellano il continente africano e vuole essere la nuova Mattei che si prende sulle spalle la salvezza di un pezzo di mondo. Osservate: Brunelleschi, Mattei. Per una buona narrazione superficiale è inutile spendere energie per costruire nuovi modelli. Come sui social, l’importante è trovare un nome che rimandi a un pensiero, un sapore, un profumo riconoscibile a tutti. Dicevamo, il “Siamo Mattei” di Giorgia Meloni in tutto il mondo viene raccontato come il tour tra autocrati di una presidente che aveva promesso di chiudere i porti di arrivo, non c’è riuscita e quindi vuole chiudere i porti di partenza. È così facilmente riconoscibile. Nulla di tutto questo: l’obiettivo di Giorgia Meloni, a leggere senza interpretare le parole delle note stampa e le dichiarazioni della sua maggioranza, è “salvare l’Africa”. Ma come, ma il “prima gli italiani”? Per il giornalismo sarebbe un’occasione imperdibile: opporre i fatti e i numeri alla narrazione. A quel punto la loro smania di controllo dovrebbe maturare in una capacità di governo. Pensateci, sarebbe bellissimo.

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