Gorbaciov, visioni e bilancio dell’ultimo leader dell’Urss

Mario Margiocco
01/09/2022

Salutato dagli Usa come un miracolo, Gorbaciov capì per primo che il sistema sovietico andava riformato ma, travolto dalla storia, non ebbe il tempo di mettere in atto la sua visione. E la fine dell'Impero, più di ogni altra cosa, fu la sua fine. L'analisi.

Gorbaciov, visioni e bilancio dell’ultimo leader dell’Urss

Una sala vuota, non più di sei o sette aspiranti giornalisti che fingevano di prendere appunti, e sul palco della conferenza stampa un Mikhail Gorbaciov ormai privato cittadino, invitato a Villa d’Este per l’abituale appuntamento Ambrosetti di fine estate. Eravamo a 20 anni circa dai fatti che l’avevano visto protagonista della miracolosa uscita indolore dell’Europa dalla Guerra fredda, e non tutti nell’elegante scenario di Villa d’Este sapevano che cosa avesse davvero fatto, 20 anni prima, quel Gorbaciov scomparso a 91 anni in ospedale moscovita. Era sera inoltrata, e anche i più ritardatari battevano il pezzo di giornata sulla tastiera del computer, e Gorbaciov parlava ai muri. A Mosca regnava dal 2000 Vladimir Putin che cercava di salvare e rilanciare il mito nazionalista, compreso quello nazional-comunista, con parole d’ordine più efficaci della Perestroika (ristrutturazione) e della Glasnost (trasparenza) gorbacioviane, e addossando a Gorbaciov la fine dell’Impero e dell’Urss, per Putin «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo».

Gorbaciov, visione e riforme dell'ultimo leader sovietico
Il presidente russo Vladimir Putin con Mikhail Gorbaciov nel 2004 (Getty Images).

Gorbaciov, un «miracolo» al Cremlino

«Un miracolo!». Così la comparsa sulla scena sovietica di Mikhail Gorbaciov era stata salutata 35 anni fa da George F. Kennan, il grande diplomatico americano che aveva tracciato le regole interpretative del fenomeno sovietico per una Washington incapace di penetrare l’enigma Stalin e russo dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. E veramente un miracolo era stato necessario per avere al Cremlino un uomo che, cresciuto per quell’incarico dagli ultimi grandi vecchi della gerontocrazia sovietica e soprattutto dall’ultimo capo carismatico del KGB, Yuri V. Andropov, avesse la capacità e la forza di capire che il sistema andava profondamente riformato, per salvare l’Urss. I dati economici in particolare erano così disastrosi, e grazie al KGB il gruppo dei “riformatori” aveva quelli veri, da oscurare il quesito centrale, e cioè se davvero il sistema fosse riformabile. Già nel 1975 i consumi pro capite erano un terzo di quelli americani e la metà di quelli tedeschi, inglesi e francesi, secondo la Cia; la qualità scarsa e il mercato nero rampante; solo l’élite poteva soddisfare le proprie richieste, e questo delegittimava il potere. Uno studio complessivo inaugurato nel 1977 dall’amministrazione Carter e guidato da Samuel P. Huntington prevedeva per l’Urss prima della fine degli Anni 80 una drammatica crisi economica.

Gorbaciov, visione e riforme dell'ultimo leader sovietico
Ronald Reagan e Gorbaciov alla Casa Bianca nel 1987 (Getty Images).

La fine della dottrina Breznev

Nel 1975 uno dei massimi cremlinologi americani, il polacco Adam B. Ulam docente a Harvard, aveva tracciato una profezia. Intervistato alla radio aveva detto: ammettiamo che fra 10 anni un personaggio o un gruppo del Politburo decida che è inevitabile avviare l’Urss sulla strada del XX secolo. «Modernizzazione, razionalizzazione, riforma economica, tolleranza politica e la giusta osservanza della Costituzione sovietica seguiranno. E nel clima politico e culturale creato da questi storici cambiamenti, sarà impossibile impedire a romeni, polacchi, cecoslovacchi, ungheresi di imporre le loro richieste di indipendenza». Più i tedeschi dell’Est, i baltici, e altri. Un’Urss più democratica non poteva che essere la fine dell’Impero. E la fine dell’Impero, più di ogni altra cosa, fu la fine di Gorbaciov. La Guerra fredda sorta nel 47-48 finiva il suo ciclo esattamente dove era nata, nell’Europa dell’Est, e questo Gorbaciov in qualche modo lo aveva previsto, ma non aveva previsto la rapidità del tutto, e l’impossibilità per l’Urss di governarlo diplomaticamente. Da sempre scettico sulla Dottrina Breznev (il diritto-dovere sovietico a intervenire militarmente nei Paesi del Patto di Varsavia “per salvare il socialismo”), doveva dichiararla definitivamente defunta a un meeting del Patto nel 1989. Secondo William Taubman, biografo semi-ufficiale di Gorbaciov e da questi aiutato con molto materiale e lunghe interviste, fu questa «la più netta rottura col passato». A maggiore libertà in Urss doveva corrispondere più libertà ovunque nell’Impero, come aveva previsto Ulam. Questo lasciava però i leader dell’Est esposti di fronte ai loro popoli sempre più insoddisfatti. La libertà diventò presto una valanga inarrestabile che cresceva a vista d’occhio e in pochi mesi, tra l’estate e la fine del 1989, cancellò un mondo senza che Gorbaciov avesse il tempo di mettere in atto la sua visione del futuro.

Gorbaciov, visione e riforme dell'ultimo leader sovietico
Margaret Thatcher con Mikhail Gorbaciov nel 1989 (Getty Images).

I Paesi dell’Est come ponte per l’europeizzazione della Russia

Il capitolo est europeo era in questa visione parte integrante del suo piano di riforme del sistema interno sovietico, della fine della corsa agli armamenti che stava rovinando il Paese, e dell’integrazione dell’Urss nel sistema delle democrazie europee.  L’Est Europa doveva essere infatti il ponte per una nuova europeizzazione della Russia. Un ultimo appello in questo senso veniva lanciato da Gorbaciov a Strasburgo il 6 luglio 1989, nel discorso del “ritorno all’Europa”, fatto purtroppo quando l’Est europeo incominciava l’ultima tumultuosa fase della sua fuga dalla Russia creando un vuoto di potere e diplomatico tra le aspirazioni del Cremlino gorbacioviano e la realtà dell’Europa occidentale. Chiunque abbia visto nella Berlino Ovest di sabato 11 novembre 1989 le masse dell’Est aggirarsi guardinghe ed estatiche, accalcarsi sotto i camion della grande distribuzione occidentale che lanciavano a tutti a getto continuo cioccolato, banane, bonbon, zucchero e caffè, guardare stupiti le BMW e Mercedes e tutta la cornucopia del capitalismo, porterà sempre negli occhi la certezza che per quella gente il lungo e difficile capitolo russo della loro storia andava chiuso. L’inaudita e rapidissima riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990 doveva suggellare il tutto, in mezzo a varie promesse occidentali (verbali) di non espansione della Nato a Est. Ma da subito, a partire dalla nuovissima Cecoslovacchia di Vaclav Havel, le domande di ingresso nella Nato si facevano pressanti. E sono continuate ancora poco tempo fa, come si è visto con Finlandia e Svezia.

Gorbaciov, visione e riforme dell'ultimo leader sovietico
Putin e Gorbaciov nel 2006 (Getty Images).

Il bilancio dell’era gorbacioviana

L’Occidente avrebbe potuto fare di più per Gorbaciov? Certamente sì. Nessuno però a Washington e nelle capitali europee sapeva bene fino a che punto i russi fossero disposti ad appoggiare Perestroika e Glasnost, le due parole d’ordine gorbacioviane. Il metro dello scaffale di bottega, vuoto prima di loro e sempre vuoto anche con loro, non dava certezze. E cos’era il “ritorno all’Europa”, una marcia verso la democrazia, fino a che punto compatibile con la mentalità di molti russi, o l’ennesimo tentativo di staccare l’Europa dagli Stati Uniti? Candidatosi alle Presidenziali del 1996, a cinque anni dalla sua defenestrazione di fine 1991, Gorbaciov ottenne assai meno dell’1 per cento dei voti. Pur nella confusione di quegli anni i risultati raggiunti da Gorbaciov sono notevoli, dal punto di vista della distensione e della pace. Guidò un accordo strategico con Washington che eliminava per la prima volta intere categorie di missili nucleari e cominciò il ritiro della maggior parte dei missili a medio e corto raggio dall’Europa dell’Est. Ritirò dopo quasi 10 anni le truppe dall’Afghanistan. Dopo alcune incertezze iniziali, fece chiarezza sul disastro nucleare di Chernobyl, con un’apertura mai vista in era sovietica. Eliminò centinaia di corrotti nei piani alti del partito. E inaugurò a livello municipale le prime elezioni libere dopo oltre 70 anni di storia sovietica, con la fine in vari casi della supremazia del Pcus locale.

La preoccupazione per l’invasione dell’Ucraina

«Nonostante tutti gli errori e gli abbagli – o, al contrario, grazie a tutti i balzi in avanti – abbiamo compiuto il lavoro politico e umano preparatorio fondamentale», diceva Gorbaciov parlando al New York Times nel dicembre 1991, mentre a Mosca si preparava la sua imminente fine. «In questo senso sarà impossibile riportare la società indietro». Non è andata così. Putin annunciando il 24 febbraio scorso l’attacco all’Ucraina si riferiva agli anni di Gorbaciov dicendo che «la paralisi del potere e della volontà di esercitarlo è il primo passo verso il completo degrado e verso l’oblio». Poco prima di morire, stando ai suoi amici, Gorbaciov ha dovuto dichiararsi «turbato» dalla guerra contro l’Ucraina che distruggeva, ha detto, «il lavoro di una vita», la sua, e molto altro ancora.