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La regola del Gonzo

Il giornalismo può raccontare la realtà senza essere oggettivo. Ne era convinto Hunther S. Thompson, pioniere di uno stile che ha fatto scuola. «Oggi si infiltrerebbe nei cortei No Vax trovandoli esilaranti», spiega Delfina Rattazzi che lo conobbe a Manhattan.

7 Novembre 2021 09:467 Novembre 2021 14:01 Andrea Frateff-Gianni
Hunter Thomson e il gonzo Journalism

Gonzo Journalism. Davanti a questa espressione molti, soprattutto under 40, rimangono perplessi. Nelle scuole di giornalismo una delle prime cose che vengono insegnate alle giovani leve è non perdere di vista l’imparzialità. Il giornalista deve raccogliere fatti e citazioni da varie fonti e mettere insieme la storia esclusivamente sulla base di questi elementi, senza entrare in prima persona nel racconto. E senza farsi condizionare dalle proprie opinioni. Una missione, detta come va detta, praticamente impossibile. Resta però valido l’assunto per cui il cronista deve essere essenzialmente un intermediario tra la fonte o l’evento e il lettore. Gonzo, invece, è un tipo di giornalismo che sovverte queste regole, porta la prima persona nel reportage e presenta i fatti quasi come se il lettore fosse lì a viverli direttamente. Nella convinzione che il giornalismo per essere veritiero non deve per forza essere rigidamente oggettivo.

Hunther S. Thompson, pioniere del Gonzo journalism

Pioniere di questo genere fu sicuramente alla fine degli Anni 60 Hunther S. Thompson, con la sua scrittura a flusso di coscienza e le sue interpretazioni critiche della politica americana. Il termine gonzo, riferito agli articoli di Thompson, fu usato per la prima volta nel 1970 da Bill Cardoso sulle colonne del Boston Globe. Gonzo, nello slang di alcuni quartieri della capitale del Massachusetts, indica l’ultima persona a restare in piedi dopo una notte di bevute.

La fortuna della frase «paura e disgusto»

Scrivendo a un amico nel novembre 1963, Thompson usò la frase «paura e disgusto» per descrivere come si era sentito dopo aver appreso dell’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy. La frase divenne il titolo del suo libro su Las Vegas del 1973 – trasformata in Paura e delirio nel film del 1998 diretto da Terry Gilliam – e poi un modo di dire. Le sfumature del suo significato – paranoia, egocentrismo, ansia, rabbia – ne fecero il suo personale marchio di fabbrica. Thompson sosteneva che, per raccontare, il giornalista, in perenne missione per conto dei suoi lettori, doveva sperimentare tutto sulla propria pelle, buttandosi a corpo morto nell’azione, non risparmiandosi nella narrazione su dettagli di alcun tipo. «Thompson pretendeva solo due cose: dischi e speed», scriveva Patrick Doyle sulle pagine dell’edizione americana di Rolling Stone.

La routine del dottor Gonzo

Come non impazzire per un tipo così? Già, come? Thompson si svegliava alle tre del pomeriggio, iniziava a trangugiare Chivas Regal per leggere i giornali e a fumare sigarette Dunhills. Poi passava a caffè e cocaina. Cocaina a più riprese, alternata a erba. A pranzo (cioè alle 19) cheeseburger, patatine, insalata di pomodori, due birre Heineken, due margarita, e un dessert affogato al whisky. Alle 20 ancora cocaina, alle 22 si calava un acido, a mezzanotte circa, quando chiunque altro sarebbe finito in ospedale o sotto terra, lui era pronto per scrivere, fino alle 8 di mattina, aggiungendo a tutte le sostanze elencate il gin e un salutare succo d’arancia, concedendosi una pausa alle 6 del mattino per un bagno nella vasca, dove mangiava Fettuccine Alfredo e beveva champagne. Quando decideva di andare a dormire, mandava giù un farmaco contro l’insonnia. Questa fu la sua routine fino al 20 febbraio 2005, giorno in cui si sparò. O almeno questo è quanto raccontava Kiri Blakely sul Daily Mail citando la sua biografia, The Strange and Savage Life of Hunter S. Thompson del 1994.

Thompson nel ricordo di Delfina Rattazzi

Riflettendoci oggi però è un vero peccato che Hunter S. Thompson sia diventato famoso più per l’amore per l’alcol, la droga e le pistole, che per le sue doti puramente letterarie. Ma nella vita com’era davvero il dottor gonzo? «Ti potrà sembrare strano ma era un uomo buono. Poi ovvio, in giro faceva il suo show, al ristorante suonava sirene d’allarmi delle navi e cose del genere, ti faceva morire dal ridere. Norman Mailer lo amava», racconta Delfina Rattazzi che lo conobbe a Manhattan negli Anni 70. «Rolling Stone fu il suo trampolino di lancio, ma faceva un sacco di dispetti a Jann Wenner e compagnia. Il suo capolavoro fu Fear and Loathing: On the Campaign Trail 72, anche l’Economist lo ha riconosciuto di recente. Il problema è che è davvero intraducibile. La politica era davvero per lui la cosa più strana del mondo, una fonte di surrealismo impagabile».

«Oggi Thompson si infiltrerebbe nei cortei No Vax trovandoli esilaranti»

«L’ho conosciuto a New York, avevamo amici in comune», conclude Rattazzi. «Dopo vennero le stanze del Plaza fatte a pezzi. L’ho visto salvare letteralmente la vita a qualcuno e faceva di tutto perché non si capisse. Un bravo ragazzo del Kentucky che aveva fatto il militare e che sognava di farsi una canna sulla spiaggia. E poi diventò quello che spalava la neve con l’esplosivo ad Aspen. Un posto del cavolo. Penso che oggi si infiltrerebbe nei cortei No Vax trovandoli esilaranti». Per chi volesse saperne di più Bompiani ha appena pubblicato una raccolta di reportage della campagna elettorale americana del 1992, in puro stile gonzo, in un volume psichedelico intitolato: Meglio del sesso. Confessioni di un drogato della politica. Che lo spettacolo abbia inizio.

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