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Vedo verde

Golf case

Tracciati spesso nati da un disboscamento indiscriminato, che hanno bisogno di milioni di litri d’acqua. E ancora l’uso di fertilizzanti e i rischi legati a inondazioni e incendi. Come lo sport storicamente associato all’élite è diventato insostenibile.

9 Dicembre 2021 15:149 Dicembre 2021 23:21 Giovanni Sofia
Spesso nati dal discriminato disboscamento di aree verdi, i campi da golf necessitano di tantissima acqua e prodotti chimici

Per irrigarli, ogni giorno, ci vuole l’equivalente d’acqua necessario a riempire tredici piscine olimpioniche. In cifre, nove milioni di galloni, oltre 34 di litri. Le spugne in questione sono i trenta campi da golf disseminati nella contea di Salt Lake, Utah. Ma non solo, perché gestire queste immense praterie, spesso nate dal disboscamento indiscriminato di foreste, impone l’utilizzo di fertilizzanti ad alta densità di carbonio. Ne deriva che lo sport elitario per eccellenza evidentemente non va troppo d’accordo con l’ambiente. Una problematica denunciata in diverse circostanze, persino dal campione Tiger Woods. In ballo, d’altronde, c’è la salvezza del pianeta certo, ma, per non andare troppo lontano, anche della disciplina, in quanto la crisi climatica non fa sconti e minaccia di trasformare molti campi in paludi fangose.

«Sta succendendo già in Florida e in Ohio», spiega alla Cnn il presidente dell’American American Society of Golf Course Architects (Asgca), Jason Straka, a causa delle altissime temperature e della conseguente siccità. «I club sono costretti a chiudere dopo due centimetri e mezzo di pioggia. Non era mai accaduto. Ma gli scenari sono diversi e c’è chi ha fatto i conti con inondazioni nelle giornate di sole». Non sorprende che per i radicali l’attività semplicemente «non sia più sostenibile». E se a Est i problemi sono questi e la gramigna incontrollata infesta le buche, l’Ovest, California, in testa, fa i conti con gli incendi e la pessima qualità dell’aria.

Spesso nati dal discriminato disboscamento di aree verdi, i campi da golf necessitano di tantissima acqua e prodotti chimici
Un campo da golf distrutto da un incendio (Getty)

Dalle inondazioni agli incendi, i problemi dei campi da golf australiani

Non se la passa meglio l’Australia, dove il Lynwood Country Club, a nord-ovest di Sydney, si è allagato nel 2020 e di nuovo all’inizio di quest’anno. Qui alcune buche sono finite sommerse anche da sette metri d’acqua. Lungo la costa del New South Wales, sul Nambucca Heads si sono riversati 42,5 pollici (106 centimetri) di pioggia in soli otto giorni. I roghi boschivi divampati, nello stato di Victoria, poi hanno quasi distrutto il Mallacoota Golf Club. In un contesto in cui situazioni del genere sono all’ordine del giorno, i campi cercano disperatamente soluzioni.

Così l’acqua piovana viene raccolta all’interno di depositi per l’irrigazione, di cui ormai praticamente tutte le strutture sono dotate, ha raccontato Harley Kruse, alter ego australiano di Straka. «L’anno scorso su Sidney si è riversata un’alluvione storica, di quelle che capitano ogni cento anni. Dobbiamo abituarci e mostrarci più flessibili di fronte a simili eventi». A trasformare la teoria in pratica sta provando Tim Lobb, presidente dell’Istituto europeo di architetti dei campi da golf (EIGCA). L’obiettivo è ridurre l’erba sui campi della Turchia e con essa il consumo d’acqua del 25 per cento.

A rischio lo storico campo di St Andrews

Nelle isole britanniche a tenere banco è l’innalzamento delle acque. A Montrose, dove sorge il quinto tracciato più antico del mondo, il mare ha già sommerso diversi punti. A St. Andrews, in Scozia, le previsioni parlano di un metro nei prossimi 50 anni: se così fosse, della patria del golf resterebbe semplicemente una palude ricordo. Non ha avuto i risultati sperati l’idea di Edwin Roald rinomato architetto islandese e fondatore di Eureka Golf, società impegnata a mitigare i cambiamenti climatici attraverso il golf, il processo di accelerazione di scioglimento e congelamento dell’acqua, misto all’aumento delle precipitazioni ha soffocato il tappeto erboso «Rischiamo in primavera di avere un manto totalmente morto».

Spesso nati dal discriminato disboscamento di aree verdi, i campi da golf necessitano di tantissima acqua e prodotti chimici
L’ex presidente Usa Obama in una partita di Golf (Getty)

Chi, per il momento sembra aver colto nel segno è Woburn, sede del Women’s British Open del 2019. Merito di un serbatoio personale in cui incamerare acqua piovana e di un pozzo per attingere alle riserve idriche del sottosuolo, utili a garantirne l’autosufficienza. Il sistema, insieme ad altri, è stato presentato all’ultima Cop26 di Glasgow dall’ambientalista GEO Foundation for Sustainable Golf di North Berwick. Ancora, al Remuera Golf Club di Auckland, le emissioni di anidride carbonica (CO2) sono state ridotte di quasi 25 tonnellate dal 2018, grazie ai tagli sul consumo dell’elettricità. In Finlandia, Hirsala golf mira ad avere 40 robot tagliaerba alimentati da fonti rinnovabili entro il 2022. In soldoni, mille litri in meno di gasolio, 1.080 sono invece le tonnellate di Co2 risparmiate grazie ai pannelli solari dello svizzero Golf Payerne.

Cosa pensano gli atleti dell’impatto del golf sull’ambiente

Ma il golf spiega Roald vive di un grande paradosso. «I campi incamerano una notevole quantità di carbonio, ma spremendo il suolo, specie nelle zone umide danno luogo a grandi emissioni. Se non si parte da lì, difficilmente si riuscirà ad apportare una soluzione efficiente in termini di sostenibilità». Un tema di cui hanno preso a discutere anche gli atleti. Tra loro, Rory McIlroy: «Non mi dichiarerei un eco-guerriero, ma una persona attenta all’ambiente, ha detto il nordirlandese che vive in Florida. Da me gli uragani sono molto frequenti e destinati ad aumentare. In effetti giochiamo su appezzamenti che assorbono molta acqua, da utilizzare sicuramente meglio». Gli ha fatto eco Tiger Woods dopo un torneo in Australia, disputato su un terreno asciutto: «Dovremmo lasciare fare di più a Madre natura. Superfici bagnate regalano belle immagini alle televisioni, ma non c’è bisogno di duemila irrigatori per mantenere vivo un percorso». E se lo dice lui.

 

 

 

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