Giuseppe Conte e il puro spirito grillino del «né uno né l’altro»
L'Avvocato del popolo non ha virtù eccezionali ed è privo di una visione politica: non è né di destra né di sinistra, né moderato né estremista, né con i leghisti né con il Pd. Ha appena citato Forrest Gump senza accorgersi che è una metafora dei 5 stelle: mediocri capitati per caso in mezzo alla Storia.
Giuseppe Conte incarna il puro spirito grillino: non è né di destra né di sinistra, né moderato né estremista, né con i leghisti né con il Partito democratico (ma ha fatto un governo con tutti e due), né atlantista né amico di Donald Trump: un campione della meccanica della duplice esclusione e della retorica bilanciata. Lui è l’arbitro imponderabile che prende le distanze dalle ideologie in misura uguale, per poter meglio aderire a quella che gli conviene di più al momento, sempre difensore di un ordine bipartito dell’universo, dove alberga sempre tutto e il contrario di tutto. Il mondo è pieno di gente drogata di autostima che proclama: «Non voto nessuno perché non c’è nessuno che mi rappresenta». Ecco, saranno questi impeccabili esemplari del genere umano che, in attesa del perfettissimo che li rappresenti come loro si meritano, forse si convinceranno a mettere la croce sull’Avvocato del Popolo. Conte sta perfezionando la politica del vaffanculo, all’origine del successo grillino: secondo Beppe erano quei ragazzi meravigliosi (ne citiamo alcuni: Danilo Toninelli, Alessandro Di Battista, Vito Crimi, Paola Taverna, Roberta Lombardi, Luigi Di Maio) che avrebbero finalmente colmato il vuoto di quelli che non trovavano nessuno alla loro altezza da votare, che sarebbero stati gli artefici di un mondo nuovo, mandando finalmente a casa i rappresentanti di una politica vecchia e inadeguata a comprendere il mondo dei computer, che Beppe aveva scoperto con l’infantile entusiasmo che il mio bisnonno aveva riservato ai prodigi del motore a scoppio.

Dopo l’abolizione della povertà, si presenta come quello né carne né pesce
Dopo averne distrutto uno a mani nude nella sua precedente fase luddista, e dopo aver predicato anni contro la televisione, Beppe ha sublimato quell’odio eccessivo in una specie di sindrome di Stendhal, restando perdutamente affascinato da qualunque schermo, anche da quello televisivo, quando serviva a rilanciare quella che secondo lui era l’epitome della modernità: la diretta streaming. Per quattro anni gli italiani sono stati governati, dopo averli votati massicciamente, da questi geni: disoccupati, tecnici IT, geometri, informatici, diplomati alla Scuola Radio Elettra, ingegneri, che Grillo aveva reclutato nelle sedi dei corsi su Internet for Dummies. Gli esiti li conosciamo. Ora Conte, dopo l’assertiva stagione grillina dell’abolizione della povertà e altre pietre miliari poste a fondamento di un’Italia nuova, prova a fare professione critica di fede, presentandosi come quello né carne né pesce, né uva né fichi, né con lo Stato né con le Brigate Rosse, aggiornando a uno stadio avanzato la politica veltroniana del “ma anche”, che sembra soddisfare vaste masse di persone, quelle che entrano in crisi alla domanda “coffee or tea?”, “soup or salad”? “margherita o marinara”? Conte non ha virtù eccezionali, non ha una chiara posizione di vita e, recentemente ha chiesto ai suoi interlocutori su twitter «ma insomma: atlantista o antiamericano? ditemelo voi, mettetevi d’accordo», dando a intendere che forse lui lo sa, ma preferisce non dircelo e che ci mettiamo d’accordo noi per chiarirglielo. Perfino con un moto di sussiego, che diamine, come se le sue alleanze prima con Matteo Salvini e poi con Enrico Letta nello spazio di un mattino, fossero prova di specchiata coerenza ideologica. Chi crede di possedere la verità, in politica, è esposto al dogmatismo.

Cambiare idea è da intelligenti, solo che Conte la cambia ogni cinque minuti
Nella società pluralista che Giorgia Meloni vorrebbe cancellare per farne una a sua immagine e somiglianza, convivono concezioni della vita che si confrontano continuamente, è la ricchezza di una comunità. Ma questo non c’entra con la strategia di Conte, né con quella di Luigi Di Maio, che proviene dal suo stesso ceppo. Anche lui è passato dal supporto ai Gilet Gialli a indossare la feluca di ministro degli Esteri, dal dire stupidaggini sul Pd («Non avrò mai niente a che fare con il partito di Bibbiano che ruba i bambini con l’elettroshock»: una frase che ora gli brucia e la cui spregiudicatezza sintattica lo fa svegliare di soprassalto la notte) a essere candidato sicuro in uno dei suoi collegi; tutto senza fare una piega, tanto la gente si scorda e poi, come diceva quello, «cambiare idea è da persone intelligenti». Solo che Conte e lui la cambiano ogni cinque minuti, ingenerando nei loro elettori la rassicurante convinzione che, se non hanno abolito la povertà, hanno sicuramente sconfitto la cocciutaggine: fluidi, versatili, aperti mentalmente come loro non c’è nessuno.

Forrest Gump come i 5s: pasticcioni capitati per sbaglio in mezzo alla Storia
«Progressista è chi il progressista fa», dice Conte citando senza rendersi conto del pericolo Forrest Gump, l’uomo americano che nel romanzo di Winston Groom e nel film omonimo, ha uno sviluppo cognitivo inferiore alla norma e che, grazie a una serie di coincidenze favorevoli diventa testimone e artefice di importanti avvenimenti nella storia americana. Come i grillini: capitano per caso nel mezzo della Storia, pasticciano un po’ e finiscono per ammettere di non capire come mai risulti così difficile cambiarla. Più facile cambiare idea, si sono detti Conte e Di Maio, alla disperata ricerca per non sparire dei voti dei Forrest Gump italiani. Mentre Alessandro Di Battista, soprannominato dai suoi ex sodali “l’ovvio e l’ottuso”, è invitato nei talk a fare una campagna elettorale di supporto alla coerenza, questa sconosciuta, rivendicando con orgoglio il rischio di essere ridicolo mentre, agli occhi di Giuseppe e di Luigi che hanno capito come gira il fumo, appare solo stupido e inutilmente testardo.