«Lo sapevamo tutte, lo sapevamo da subito». Il coro si alza fin dalla mattina sui social e diventa subito un hashtag quando viene confermata la notizia del ritrovamento del corpo di Giulia Tramontano e della confessione del suo fidanzato-carnefice, Alessandro Impagnatiello. E non sai se piangere, arrabbiarti o provare nausea. Perché l’assassinio e lo scempio di una ragazza, per di più incinta, da parte di un compagno è già orribile, ma lo è altrettanto la consapevolezza che non poteva che essere così. E che continuerà a essere così. Perché tante di noi dormono con loro futuro boia e non lo sanno. Un boia che oggi ti sorride, è premuroso, posta le foto romantiche delle vacanze, ma che appena tenterai di sfuggire al suo controllo ti giustizierà senza processo, quasi sempre con gli attrezzi dell’uomo di casa: il martello, l’accetta, il coltello grosso. Il patibolo può essere all’aperto – nell’androne del condominio, in un parcheggio, all’uscita del lavoro o fuori da ristorante – o fra le mura domestiche.

Nell’inconscio collettivo, modellato da millenni di misoginia, la colpa è sempre di Eva
E le denunce, i codici rossi, le ordinanze di allontanamento, i «ci vuole una cultura del rispetto etc…», non serviranno a niente. In uno stato di diritto nessuno, giustamente, deve toccare Caino (anzi, un super-Caino come Giusva Fioravanti può perfino diventare opinionista su L’Unità), ma nessuno può nemmeno proteggere Eva h24 da un Adamo violento. Anche perché nell’inconscio collettivo, modellato da millenni di religione misogina, se Adamo diventa cattivo la colpa in fondo è sempre di Eva. Non è lei quella che disubbidisce, quella che cerca i frutti proibiti e, in ultima analisi, rovina i paradisi terrestri? Botte, stupri e malamorte li istiga Eva, o come minimo se li va a cercare con la sua sventatezza. Perfino la povera Giulia, che Impagnatiello voleva far passare per pazza da viva, da morta deve sorbirsi fervorini e/o insulti alla memoria. Florilegio da Twitter: era una di quelle «donne possessive che vogliono incastrare a vita l’uomo», aveva il solito «vizio delle donne, fidarsi di chi non dovrebbero», e comunque «le leggi sono sempre sbilanciate a favore delle donne, manca solo la prigione preventiva per possesso di cromosoma». C’è chi la rimprovera di essere imprudentemente «andata all’ultimo incontro»: no, lei era tornata a casa sua, dove lui l’aspettava con un coltello e dell’alcol per bruciare il suo cadavere. Mentre i social battibeccano, un’altra madre di famiglia è stata uccisa a Roma, sotto casa sua, da un collega, «si sospetta il movente passionale». Dopodomani toccherà a un’altra ancora. Ormai i femminicidi arrivano a mazzetti, come gli asparagi.

La legge insorge non per difendere la vostra vita, ma il sacro valore della maternità
Può essere urticante leggere le riflessioni sconsolate di Annalisa Cuzzocrea, che sulla Stampa invita giovani donne a salvarsi da sole, nell’attesa che si compia la beata speranza di una società in cui gli uomini non accampano diritti proprietari delle loro compagne. Ma ormai fa girare le scatole anche il «campa donna che la consapevolezza maschile cresce», la vana insistenza per una presa di responsabilità collettiva da parte degli uomini e di una discesa in campo dello Stato, non solo con leggi, ma anche con un impegno continuo, forte e costante, in favore dell’equità, di cui la parità fra i generi è conseguenza. Alle mie figlie io darei prima di tutto il consiglio di Cuzzocrea: badate alla vostra pelle da sole. Perché nessuno combatterà per salvare la vostra vita. Se il vostro compagno vi mena o vi insulta per strada, non accorrerà mai un nugolo di poliziotti locali per prenderlo a insulti e bastonate: quello lo fanno con una povera trans indifesa. Se invece volete portare avanti una gravidanza per un’amica o una coppia di amici che vuole avere un figlio e non può farlo, ecco, allora sì che la legge insorge per difendere la vostra dignità e il sacro valore della maternità.

Se 50 anni fa la vittima sapeva di essere sola, oggi viene illusa
La triste verità è che la violenza sulle donne, anche diffusa, generalizzata, quotidiana, suscita sì emozione e sdegno, ispira lamenti e recriminazioni incrociati, ma non crea allarme pubblico. Non sovverte né disgrega la società, che nel suo midollo è ancora patriarcale. Per quanto condannata a parole, nell’Italia del 2023 la violenza sulle donne rientra ancora nell’ordine delle cose. Fino a non molti anni fa nemmeno se ne parlava; prima ancora vigevano lo ius corrigendi maritale e il delitto d’onore. Le leggi sono cambiate, ma il nocciolo di prevaricazione acquattato nelle relazioni fra i generi non è scomparso, riaffiora come violenza fisica o psicologica nelle coppie anziane così come in quelle adolescenti, e anche in quelle madre-figlio. Ma se 50 anni fa una vittima sapeva di essere sola e subiva in silenzio, oggi viene illusa che parlare e denunciare sia risolutivo, mentre la risposta spesso è un aiuto insufficiente o una protezione inadeguata. E ci sono ancora troppi uomini per cui quelli che picchiano o uccidono una donna sono solo «compagni che sbagliano».