Un Giro d’Italia a misura sovranista. E non certo per la tutela della sovranità italiana, visto che la partenza è stata prevista fuori confine, in Ungheria. Regalando una bella vetrina proprio al presidente Viktor Orbán, lui sì sovranista doc, proprio nelle ore in cui è schierato contro il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia. «Ero pronto a concordare con i primi cinque pacchetti di sanzioni Ue, ma ho detto chiaramente fin dall’inizio che c’è una linea rossa: il settore dell’energia», ha sentenziato. Una tempistica sfortunata, certamente, per Rcs, organizzatrice della kermesse rosa.

L’Ungheria di Orban tra Putin e violazione dello stato di diritto
Va detto che la trasferta in terra magiara era già programmata nel 2020, decisa ovviamente un anno prima, quindi cancellata causa Covid. Nell’edizione di quel Giro, posticipata in autunno, si optò per un percorso tutto fatto in casa, le trasferte all’estero erano improponibili. La corsa fu paradossalmente sovranista ma nel vero senso della parola, perché si dovettero ricalibrare le tappe in Italia. Era una pandemia fa, insomma, e non si poteva nemmeno immaginare l’arrivo del coronavirus. Altrettanto impossibile prevedere, per il direttore della corsa Mauro Vegni, che Vladimir Putin decidesse di attaccare l’Ucraina e trovasse una sponda proprio in Orbán. Era tuttavia già chiaro che la meta ungherese non rappresentasse esattamente un segnale incoraggiante per l’Unione europea. Budapest non è esattamente campionessa nel rispetto dei diritti civili. Basta sfogliare qualche giornale per ricordare le posizioni omofobe di Orban e le varie restrizioni del campo democratico. E, ancora, il braccio di ferro con Bruxelles. A fine aprile la Commissione europea ha sospeso l’erogazione dei fondi Ue come sanzione per le ripetute violazioni dello stato di diritto del Paese.

La tappa Budapest-Visegrad è la cartolina del perfetto sovranista
La prima tappa Budapest-Visegrad sembra poi la cartolina del prefetto sovranista. Dalla capitale dell’Ungheria, Paese ambasciatore dello spirito anti-Unione europea alla città simbolo del quartetto di cui fa parte con Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, il cosiddetto Gruppo Visegrad. Una spina nel fianco dell’Ue, spesso motivo di rallentamenti sul terreno delle riforme comuni e dello sviluppo di cooperazione e accoglienza. Una svista? Improbabile. Anche perché il Giro d’Italia, giusto per rimarcare, transita per la città Székesfehérvár, famosa per essere la località in cui avvenivano le incoronazioni dei re. Ma oggi nota per aver dato i natali proprio al premier ungherese. Sempre nell’ottica di concedere una bella vetrina, la cronometro prevista come seconda tappa si correrà interamente nella capitale Budapest. La decisione è anche singolare perché l’Ungheria non è propriamente il Belgio per tradizione ciclistica. Uno dei simboli è stato Laszlo Bodrogi, a inizio degli Anni 2000 che in carriera ha collezionato due podi (un terzo e un secondo posto) nei Mondiali a cronometro e qualche altra soddisfazione sparsa qua e là, sempre in competizioni minori. Di sicuro, insomma, non ha fatto la storia di questo sport. Per Barnabás Peák e Attila Valter, i due ungheresi in gruppo più in vista, sarà di sicuro un bell’appuntamento. Ma, con il dovuto rispetto, non sono Primoz Roglic e Tadej Pogacar. Resta così la sensazione che si tratti di una sfilata davanti agli occhi soddisfatti del sovranista Orbán.