Niente podio per l’Italia e l’addio di uno dei suoi rappresentati più vincenti e importanti in oltre un secolo di storia. C’è poco da sorridere per il ciclismo italiano dopo il Giro d’Italia. L’edizione 105 si chiuderà senza che alcun atleta azzurro abbia potuto competere per il podio e con un movimento a cui manca un ricambio generazionale tale da poter rilanciare le ambizioni di vittoria di una grande corsa a tappe. Il piazzamento migliore di un ciclista italiano è stato per tutta la manifestazione quello di Vincenzo Nibali che, non senza fatica, chiuderà al quarto posto il suo ultimo Giro – grazie anche al ritiro forzato di Joao Almeida, positivo al Covid a pochi giorni dalla fine. Ci ha provato anche Domenico Pozzovivo, un sempreverde del ciclismo nostrano, che di anni ne ha 39 e non è mai andato oltre la quinta posizione nella corsa rosa. Poi? Poco, pochissimo. E adesso che lo Squalo dello Stretto ha annunciato il ritiro, urge trovare un erede per le grandi corse a tappe.

Italia senza maglia rosa da sei anni
Sono lontani i tempi in cui l’Italia dominava sui pedali le vette di Alpi e Dolomiti. Adesso il successo al Giro d’Italia manca da sei anni e l’ultimo a trionfare fu proprio Vincenzo Nibali, bissando nel 2016 il successo di tre edizioni prima. Poi la maglia rosa è stata una questione nordeuropea o sudamericana. Domoulin, Froome, Carapaz, Hart e Bernal sono arrivati al traguardo finale con indosso la casacca più ambita. Nell’edizione che si chiuderà domenica 29 maggio, sarà fino alla fine lotta a 3 tra Carapaz, Hindley e Landa. E in questi stessi anni l’Italia si è dovuta accontentare di soli tre podi. Ancora una volta trascinata dallo Squalo dello Stretto, terzo nel 2017 e secondo nel 2019, mentre nel 2021 è stato Damiano Caruso – assente quest’anno, ma anche lui over 30 – a provarci, chiudendo secondo con un minuto e 29 secondi di ritardo. Un exploit che non nasconde una crisi dovuta alla mancanza di scalatori giovani e pronti a competere.
Il dominio italiano dal 1997 al 2007
Eppure il Giro d’Italia è sempre stato una questione nazionale. All’inizio fu dominio, con vincitori solo italiani dal 1909 al 1949. Poi, a sprazzi, si impose qualche straniero: il primo fu Hugo Koblet, svizzero che trionfò nel ’50, ma celebri restano i successi di Clerici (’54) e le doppiette di Gaul (’56 e ’59) e Anquetil (’60 e ’64). Eddie Merckx, più avanti, colorò il Giro con il nero-giallo-rosso della bandiera belga in cinque occasioni. Record di vittorie per un ciclista straniero che ancora oggi non è stato battuto. E da lì il dominio italiano venne meno, almeno fino al 1997. Dieci anni di successi, con atleti di primissima fascia. Gotti, Pantani, ancora Gotti, poi Garzelli, due volte Simoni intervallato da Savoldelli, l’exploit di Cunego, nuovamente Savoldelli, Basso e Di Luca. Un momento d’oro per il ciclismo italiano, quello tra 1997 e 2007, interrotto da Alberto Contador e Denis Men’šov, prima dal secondo successo per Ivan Basso e del trionfo d’ufficio assegnato al mai dimenticato Michele Scarponi nel 2011 per la squalifica di Contador.
L’era dello Squalo: una carriera di successi e record
E intanto l’era dello Squalo dello Stretto stava per avere ufficialmente il via. Un terzo posto nel 2010, anno in cui vince la Vuelta di Spagna. Un secondo gradino del podio sempre al Giro d’Italia nel 2011, che anticipa il terzo al Tour De France nella stagione successiva. Poi l’exploit definitivo. Vince la sua prima corsa rosa nel 2013, il Tour e il titolo di campione d’Italia nel 2014, il secondo titolo italiano e il Giro di Lombardia nel 2015 e poi un altro Giro d’Italia nel 2016. Un periodo magico per Vincenzo Nibali, che si regala le lacrime e il successo alla Milano-Sanremo del 2018: un unicum per uno scalatore, che scalatore puro forse non lo è mai stato. Solo sette ciclisti nella storia di questo sport sono riusciti a vincere tutti e tre le grandi corse a tappe, solo due italiani: Gimondi e Nibali. Non una statistica qualunque, ma un dato fondamentale per capire l’importanza dello Squalo per il movimento ciclistico italiano.

Nibali annuncia il ritiro a Messina
E adesso l’addio al Giro e il ritiro a fine stagione. L’annuncio è arrivato lo scorso 11 maggio, nella tappa della corsa rosa che ha visto il proprio traguardo in pieno centro a Messina, la città natale di Vincenzo. In riva allo Stretto lo Squalo ha detto basta, in lacrime: «Oggi sono qui, aspettavo da anni questa tappa, sapevo che ci sarebbe stata questa occasione. Voglio annunciare che questo sarà il mio ultimo Giro d’Italia e che chiuderò la mia carriera a fine anno. È arrivato il mio momento, ho raccolto moltissimo in una carriera molto lunga, ma è giusto così. Non bisogna dimenticare che sono andato via di casa quando avevo 15 anni, ho dato tanto al ciclismo, adesso è giunto il momento di restituire del tempo a tutti coloro ai quali l’ho sottratto». 38 anni a novembre, Nibali saluta tra gli applausi di Messina. Un momento emozionante, toccante: il giusto omaggio a un campione che ha fatto la storia.
Ciclismo italiano trascinato da Colbrelli e Ganna
La domanda, adesso, si propone prepotentemente: chi raccoglierà il testimone? I successi più recenti sono firmati da Sonny Colbrelli e Filippo Ganna, due che con le montagne, però, c’entrano davvero poco. Imprese non indifferenti le loro. Il primo ha vinto Parigi-Roubaix ed Europeo, ma ora è alle prese con il ritorno in sella alla bici dopo il malore al Giro di Catalogna. Il secondo è un cronoman e un pistard: uomo da record e medaglie olimpiche, un top per la categoria. Ma per le corse a tappe serve altro e scalatori, all’orizzonte, non sembrano essercene molti.
E adesso? I nomi per il futuro
I nomi per riportare in alto il ciclismo italiano passano così dalle grandi classiche e dalle corse di un giorno. Il più atteso è Filippo Baroncini, campione del mondo su strada Under 23, così come Samuele Battistella, che la maglia iridata l’ha vinta nella stessa categoria nel 2019. Stessa tipologia di corridore è Gabriele Benedetti, campione italiano U23, attualmente ai box dopo un brutto incidente in allenamento. E, dulcis in fundo, almeno un paio di scalatori potrebbero esserci: Giovanni Aleotti, classe ’99 in forza alla Bora-Hansgrohe, e Alessandro Fancellu, 21enne neo-professionista grazie alla Eolo-Kometa, squadra di Ivan Basso. Il futuro è il loro, ma non sarà affatto facile.