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In Giro nella storia

La Corsa rosa partirà da Torino per arrivare a Milano e ancora una volta diventa metafora di rinascita per il Paese. Tra cime leggendarie, novità e imprese: maggio torna a essere il mese della bicicletta

8 Maggio 2021 09:348 Maggio 2021 09:45 Stefano Iannaccone

Chissà se dietro al ritorno sul Passo Pordoi, nel 2021, c’è il senso di una rinascita del Paese dopo le ondate pandemiche. E chissà se davvero quella montagna storica è presente sul percorso per simboleggiare gli anni eroici del Dopoguerra. Quando, lungo quei tornanti, Fausto Coppi scriveva la storia del ciclismo e del Giro d’Italia. Era un Paese in ricostruzione, quello del ’47, come nel ’48 e nel ’49 e il Campionissimo era bardato di tubolari, in linea con il look imposto dall’epoca. Ed era un Paese che tornava a vivere e, nonostante tutto, guardava al futuro, mentre Coppi, l’uomo solo al comando, scollinava in vetta al Pordoi, legando il suo nome, in maniera indissolubile, a quelle rampe verticali. Nella corsa rosa targata 2021 torneranno, guarda caso, a essere la Cima Coppi, definizione assegnata alla vetta più alta dell’intero Giro. Ai piedi del Pordoi, un monumento celebra il Campionissimo, che per la cronaca anche nel ’52 e nel ’54 vi transitò in testa.

La storia si ripete

Ma non è la cronaca che interessa, bensì la storia. Perché, non da meno, oggi l’Italia deve rinascere, pensare a una ricostruzione post bellica. Poco importa se i disastri non sono stati provocati dalle bombe nemiche, bensì da un’entità microscopica, un virus. L’Italia deve riscrivere un pezzo di storia, appunto. Di fronte a questo c’è una garanzia nei pomeriggi di maggio: vedere chi vince la tappa, la volata, chi finalizza una fuga. Chi va in crisi e chi porta la maglia rosa. In una parola il Giro.

La corsa, nella sua edizione numero centoquattro, parte da Torino e arriva a Milano, snodandosi su una larga parte del Paese, scendendo a Sud e fermandosi tra il foggiano e il beneventano. È il ritorno alla normalità, in fondo, dopo l’anomala edizione ottobrina del 2020. Una faticaccia andata ben oltre l’acido lattico accumulato nei muscoli dei corridori, scandita da defezioni improvvise per Covid, maltempo autunnale e scioperi improvvisati.

La solitudine del cronoman

Si parte con una cronometro e si conclude con un’altra sfida alle lancette, forse per omaggiare il più adamantino dei talenti italiani, Filippo Ganna, che in simili prove sa dare il meglio. È un altro simbolismo: la solitudine del ciclista che nelle crono non ha affidabili gregari capaci di porgere una borraccia, fare da scudo. Si è soli, esposti al vento contrario, come gli italiani nell’ultimo anno. Chiusi nelle case per stare al sicuro il più possibile, ma dentro una bufera sanitaria e senza poter contare sugli affetti più fidati. Una solitudine che riporta alla mente anche quella dello scalatore, quando le gambe sono gonfie di fatica e nessun compagno di squadra aiuta a rifiatare. Davanti resta la pendenza ripida. L’ultimo, immane sforzo verso il traguardo.

Senza la carovana una festa a metà

Il Giro d’Italia è una festa, nonostante tutto, nonostante la menomazione del grande circo che gli ruota attorno. La corsa rosa è la carovana, il frastuono, la folla di persone accalcate alla partenza e in delirio all’arrivo. I tifosi chiedono la foto rituale al ciclista, spesso nemmeno lo conoscono. Ci penseranno dopo a verificare chi sia quel marcantonio magro che ha sorriso al loro fianco per l’agognato scatto, tradizione ben più antica del moderno selfie. Pur con tutta la voglia di ripartenza, insomma, il Covid non consentirà al Giro 2021 di essere normale in ogni sua sfumatura. Di questi tempi, tocca accontentarsi.

Bernal, Nibali e Yates: incognite e certezze dei protagonisti

E bisogna rassegnarsi al fatto che in strada non ci sarà Marco Pantani – rimpianto più da morto che da vivo, come accade solo alle leggende – a scaldare i cuori, emozionare con un’impresa impossibile. Dovremo cercare capire se la schiena del colombiano Egan Bernal scricchiolerà ancora o se gli consentirà di rinverdire i fasti francesi del 2019, anno in cui vinse il Tour. se Remco Evenepoel saprà fare miracoli dopo aver risistemato un bacino finito, otto mesi fa, a pezzi dentro uno strapiombo. E bisognerà capire se il talento travicello di Simon Yates, specie su una distanza di tre settimane e oltre 3mila chilometri, basterà per domare le cime più impervie. Dalle celebrate Fedaia e Pordoi, alle inedite inedite Sega di Ala e Alpe di Mera. Perché se deve esserci una ripartenza, servono novità, persino sulle montagne da scalare. Ci sarà la fatica, affascinante, di Vincenzo Nibali, che con un tutore alla mano, ha voluto prendere il via, superando il dolore di una frattura. Un po’ come l’Italia di oggi, appare talentuoso e acciaccato. Ma, soprattutto, tanto tenace da volerci essere, nonostante tutto. Nonostante la (ri)partenza sembrasse impossibile.

 

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