Le grandi montagne hanno sempre riempito i cuori di emozione, fissando metro dopo metro fotogrammi storici nella memoria collettiva. Eppure non sono state da meno le prove contro il tempo, che hanno scritto pagine indelebili del Giro d’Italia seppure senza l’epica delle scalate storiche. È innegabile che siano le lancette dei secondi, che diventano minuti, a decidere il destino della maglia rosa finale. È insomma il freddo tic toc degli orologi, una volta aggeggi manuali e oggi sofisticatissime macchine, a stabilire chi indosserà la maglia più agognata delle strade italiane.
La vittoria di Moser in un Giro pensato per gli specialisti della cronometro
E appunto le cronometro, al pari delle montagne, hanno segnato l’albo d’oro della corsa. Gli organizzatori, e nella mente riaffiora il nome del leggendario patron del Giro Vincenzo Torriani, hanno ideato dei percorsi per favorire le specialisti. Un esempio? Era il 1984, quando Francesco Moser si presentava secondo in classifica, alle spalle del francese Laurent Fignon, all’ultima tappa, una crono di 42 km che portava da Soave al traguardo di Verona. Il campione trentino inflisse un distacco di 2’24” all’avversario, conquistando la maglia rosa finale con un margine di 1’03” sul transalpino, che non la prese proprio bene: accusò l’elicottero a seguito della corsa di aver favorito, con lo spostamento d’aria, la performance dell’azzurro, presentatosi alla partenza con le famose ruote lenticolari. Un’innovazione eccezionale per quei tempi. Fatto sta che lo Sceriffo, come veniva chiamato Moser, vinse il suo unico Giro d’Italia di una carriera ricca di trionfi. Non è un mistero che il percorso fosse stato pensato proprio per favorire chi andava forte a cronometro, come il trentino, a danno inevitabilmente degli scalatori puri. C’erano 85 km di prove contro il tempo, spalmati tra il prologo iniziale e altre due frazioni e meno montagne del solito.
L’edizione 2023 sembra cucita addosso a Evenepoel
Già in passato il suo rivale storico, Giuseppe Saronni, aveva beneficiato di un percorso molto congeniale alle qualità dei cronoman, duellando proprio con Moser. Nel 1979, infatti, durante la corsa si contarono la bellezza di cinque gare contro il tempo per un totale di oltre 120 km in solitaria per i ciclisti. Insomma, un disegno immaginato per lo scontro a distanza tra i due rivali storici di quegli anni. Saronni e Moser vinsero due cronometro a testa, l’altra andò al norvegese Knut Knudsen. In classifica generale trionfò proprio Saronni con oltre 2 minuti sul rivale. L’elenco dei Giri pensati per gli amanti di questa prova è lungo. Meglio fare un salto al 2023, anno in cui gli organizzatori non hanno cucito la gara su misura di un azzurro, anche perché non si scorgono all’orizzonte campioni in grado di vincere la classifica generale. Hanno però voluto corteggiare il belga Remco Evenepoel che nelle cronometro sa farsi valere – eccome – e sicuramente è stato convinto dal disegno della corsa rosa numero 106. Non mancheranno le montagne, sicuramente, perché i tempi di Saronni e Moser appartengono all’antologia del ciclismo. Ma un occhio più esperto riconosce i messaggi d’amore al campione del mondo, fresco di impresa alla Liegi-Bastogne-Liegi, sotto forma di chilometri di prove contro il tempo. In totale saranno 73,2 km, inclusa la scalata in solitaria al Monte Lussari (18,6 km) in calendario nella penultima tappa del Giro d’Italia.

Tra i favoriti lo sloveno Roglic, il portoghese Almeida e il russo Vlasov
Un particolare che provoca amari ricordi all’altro grande protagonista atteso per l’edizione del 2023: lo sloveno Primoz Roglic, che in una cronoscalata proprio alla penultima tappa, ha perso un Tour de France che sembrava già in tasca. Un’occasione perfetta per mitigare il peggior ricordo della sua carriera. Inutile dire che l’attesa è tutta concentrata sul dualismo Evenepol-Roglic: il giovane fenomeno belga e l’esperto campione sloveno, accomunati oltre che dal talento da un carattere non proprio empatico. Poco importa: devono accendere la passione con lo spettacolo in bici. Tuttavia, il viaggio della corsa rosa non è mai scontato. L’albo d’oro è popolato di nomi che si sono presentati alla partenza lontano dai riflettori. Quest’anno il ruolo di terzo incomodo è conteso dal portoghese Joao Almeida, dotato di inossidabile tenacia, e dal russo Aleksandr Vlasov, regolarista d’eccezione. Entrambi sono finora risultati carenti nello spunto, il colpo d’ala capace di garantire un attacco vincente. Se il Giro 2023 sarà quello della consacrazione, lo dirà la strada. Di sicuro vanno tenuti d’occhio.

Occhio alle sorprese: da Jay Vine al nostro Damiano Caruso
Tra le possibili sorprese invece il nome da cerchiare in rosso arriva dall’Australia: Jay Vine può scompaginare i piani del Giro d’Italia, seguendo le orme del connazionale, Jay Hindley che non sarà al via avendo optato per la preparazione per il Tour de France. Nell’elenco degli outsider vanno inseriti il britannico Tao Geoghegan Hart, già vincitore l’edizione del 2020, e il connazionale nonché compagno di squadra, Geraint Thomas, ma anche i vari Jack Haig, Hugh Carthy, Thymen Arensman. C’è poi Thibaut Pinot, che merita una menzione speciale: da francese ha sempre accantonato lo sciovinismo, dichiarando amore per il Giro d’Italia. Vuole lasciare un segno, da uno degli ultimi romantici del pedale. E gli italiani? Senza Giulio Ciccone, stoppato dal Covid, l’unico che può ambire a un piazzamento in classifica generale è l’esperto siciliano Damiano Caruso, dotato di ineccepibile intelligenza ciclistica. Se lo sorreggeranno le gambe saprà tenere in alto i colori azzurri: chissà magari bissando il podio di due anni fa. Seppure fuori del perimetro della classifica generale finale, Pippo Ganna potrà consolare un’Italia assetata di grandi campioni, magari regalando la prima maglia rosa, grazie alla cronometro – ancora lei – piazzata in apertura del percorso.
