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Giro d’Italia, da Berzin a Cunego fino a Hesjedal: i vincitori che non ti aspetti

In un Giro d’Italia senza un grande favorito, l’attenzione è concentrata sulle possibili sorprese. E non sarebbe la prima volta. Ecco una carrellata dei vincitori impensabili: da Evgeni Berzin nel 1994 a Tao Geoghegan Hart nel 2020, passando per Damiano Cunego nel 2004 e Ryder Hesjedal nel 2012.

7 Maggio 2022 09:53 Stefano Iannaccone
giro d'italia le soprese tra i vincitori

Ogni tappa una sorpresa. Fino all’arrivo all’ombra dell’Arena di Verona, custode dell’atto conclusivo del Giro d’Italia 2022. L’edizione della corsa rosa si apre così, all’insegna dei possibili colpi di scena. Un ossimoro quello delle sorprese preventivate, grazie a un percorso movimentato e all’assenza di un padrone annunciato. Certo, il viaggio lungo la Penisola, con partenza da Budapest, di queste tre settimane non sarà la sfilata dei ciclisti più forti del mondo. I grandi campioni, su tutti Tadej Poagacar e Primoz Roglic, hanno lo sguardo rivolto al Tour de France. Pazienza, la bellezza, si sa, non è solo nei nomi. C’è un favorito, l’ecuadoriano Richard Carapaz, già vincitore del Giro 2019. E in quell’occasione proprio il ciclista sudamericano conquistò la vittoria a sorpresa. Era partito da outsider, arrivò da trionfatore davanti ai duellanti Vincenzo Nibali e Primoz Roglic. Poi Carapaz ha dimostrato di avere il talento per vincere tanto altro. Chissà, magari di bissare già nel 2022 il risultato di tre anni fa.

i vincitori che non ti aspetti al Giro d'Italia
Tao Geoghegan Hart in piazza Duomo nel 2020 (Getty Images).

La meteora di Tao Geoghegan Hart

Ma la storia della corsa rosa è ricca di casi singolari, corridori giunti al via senza grosse ambizioni e capaci di stupire lungo il tragitto. Salvo poi sparire dai radar. Emblematica l’edizione del 2020, disputata in autunno a causa della prima ondata di Covid-19. Il britannico Tao Geoghegan Hart, alla partenza era un semisconosciuto gregario di Geraint Thomas. Nessuno avrebbe puntato un centesimo sul suo nome: fino ad allora il suo miglior piazzamento era un 20esimo posto alla Vuelta d’España del 2019. Ventuno tappe dopo ha inserito il proprio nome nell’albo d’oro, succedendo proprio a Carapaz. Da allora il buon Geoghegan Hart si è limitato a svolgere il compito di luogotenente nella sua squadra, senza squilli personali. Nel 2012 c’era stata una dinamica simile. In un’edizione senza un vero padrone, il canadese Ryder Hesjedal riuscì a inserirsi nella contesa, agguantando la maglia rosa nell’ultima tappa, la cronometro di Milano, per soli 16 secondi sullo spagnolo Joaquim “Purito” Rodriguez, che aveva portato fino ad allora il simbolo del primato sulle spalle. Negli anni successivi Hesjedal non è riuscito più a ripetersi a quei livelli in una grande corsa a tappe. Qualche piazzamento, belle fughe e poco più.

La fuga bidone di Clerici nel 1954

Dal Dopoguerra il prototipo del vincitore inatteso resta senza dubbio lo svizzero Carlo Clerici, che nel Giro d’Italia del 1954 capitalizzò al meglio una leggendaria “fuga bidone” (espressione con cui viene definita un’azione ignorata dal gruppo e che prende un largo margine di vantaggio). Chiuse in maglia rosa davanti al connazionale e suo capitano Hugo Koblet. Manco a dirlo, per Clerici è stato un successo unico nella carriera. Non così clamoroso, ma comunque sorprendente fu il trionfo di Arnaldo Pambianco, nel 1961, capace di domare gli attacchi del francese Jacques Anquetil, favorito numero uno, e dello scalatore per eccellenza, Charly Gaul. Un acuto strepitoso che non ebbe seguito negli anni a seguire. Un altro vincitore che non ti aspetti, forse secondo solo a Clerici, è stato il belga Michel Pollentier. Nel 1977 scattò alla partenza con il compito di gregario di Freddy Maertens, suo connazionale e grande favorito, che nella prima settimana stava spadroneggiando. Una caduta interruppe la cavalcata di Maertens, costringendolo al ritiro. Una iattura per lui, l’occasione della vita per Pollentier, che consacrò la rosa con il successo nella cronometro di Binago, penultima tappa prima della passerella a Milano.

Le vittorie al Giro d'Italia che non ti aspetti
Carlo Clerici.

Il Giro del 1994 vinto da Berzin che consacrò Pantani

Quasi due decenni dopo, nel 1994, il russo Evgeni Berzin fu protagonista assoluto di un altro Giro dall’esito imprevedibile, in un’edizione peraltro storica per varie ragioni: mostrò il lato umano del navarro Miguel Indurain, visto per la prima volta in crisi durante una corsa a tappe, e consacrò nell’empireo del ciclismo il Pirata, Marco Pantani, all’epoca giovane di belle speranze in forza alla Carrera. Berzin dimostrò una solidità incrollabile sia a cronometro che in salita, resistendo agli assalti lanciati proprio dal Pirata con forza e capacità tattica. Una stella, quella russa, che divenne poi una meteora nel panorama ciclistico italiano, visto il repentino calo di rendimento: collezionò il secondo posto al Giro d’Italia nel 1995 e poi poco altro. Il 2004 è un altro anno che ha visto l’ascesa imprevedibile dell’allora baby talento Damiano Cunego, indicato come scudiero di Gilberto Simoni vincitore dell’edizione precedente. Cunego ebbe maggiore spazio nella prima fase della corsa, cercando di scompaginare i piani degli altri favoriti. La libertà di azione lo portò a indossare il simbolo del primato. A quel punto seppe resistere agli attacchi, anche quelli del compagno di team Simoni, che dovette masticare amaro per la rinuncia alle ambizioni personali. Finì con la sorpresa per un ciclista che mai si è ripetuto a quei livelli in una corsa a tappe. Dimostrando che lungo le migliaia di chilometri del Giro d’Italia è sempre tutto possibile. Ed è la bellezza del ciclismo, della fantasia che va oltre il calcolo.

Le vittorie al Giro d'Italia che non ti aspetti
Damiano Cunego (Getty Images).

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