Quando i ciclisti macineranno fatica, maledicendo le rampe del Mortirolo previste dal Giro d’Italia 2022, il pensiero non potrà che essere rivolto al Pirata. A Marco Pantani, il campione, oltre ogni controversia, più amato e rimpianto dal ciclismo italiano. Esattamente come la gara, la presentazione del percorso, la settimana passata, è avvenuta a tappe. In un paio di giorni si è alzato il sipario sulla partenza in Ungheria, sugli arrivi destinati a sprinter e finisseur, fino al clou, le montagne. Nel complesso un tracciato duro, in grado di accendere le fantasie di corridori e tifosi, che, scorrendo le località, immediatamente riavvolgono il nastro dei ricordi. Spunta, così il mito di Eddy Merckx, quello ancora più nitido di Pantani, senza dimenticare Vincenzo Nibali, che saluterà Messina e la Sicilia. Mentre l’arrivo di Verona rievoca la sagoma di Francesco Moser.
The Giro d’Italia will hit the roads from May 6 to May 29, 2022. Don’t make plans, and enjoy the show! 😏
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Il grande spettacolo del Giro d’Italia andrà in scena dal 6 al 29 maggio 2022. Non prendete impegni. 😏 #Giro pic.twitter.com/g9Ytu9MnYv— Giro d’Italia (@giroditalia) November 11, 2021
Il Mortirolo, la montagna che svelò Marco Pantani
Il Mortirolo, dicevamo, inserito nella 16esima frazione, Salò-Aprica, fa ogni volta lo stesso effetto. Ripropone, beffardo, uno scricciolo con la maglia della Carrera e con la testa non ancora del tutto glabra. Pantani, pur giovanissimo, aveva già uno stile inconfondibile. Il suo modo di mettere tutti in guardia, come ad avvisarli del fuoriclasse che sarebbe diventato. Era il 1994, non era ancora il Pirata e aveva appena 24 anni. «Un giovane, una rivelazione», lo definiva Davide De Zan, cronista Mediaset, affiancato da Beppe Saronni. Insieme commentavano la corsa e scoprivano quel talento, presentandolo all’Italia. L’azione di Pantani fu straripante, di una bellezza pura: staccò la maglia rosa Evgeni Berzin, fino ad allora imperturbabile leader, e si mise alle spalle Miguel Indurain, monumento del ciclismo mondiale e campione in carica nel pieno del suo dominio.
Impossibile immaginare cosa riserverà il Mortirolo nel 2022. Di sicuro sarà uno degli spartiacque della prossima edizione. Lo è stato, d’altronde, fin dal 1990, anno del debutto (seppure dal versante meno praticato, quello di Edolo), con il colombiano Leonardo Sierra a scollinare in vetta. Una scoperta stupefacente per il pubblico e tremenda per i corridori, alle prese con «la salita più dura d’Europa», come da lì a poco sarebbe stata etichettata, paradigma delle scalate al limite. L’anno successivo fu Franco Chioccioli, Coppino per la sua somiglianza fisica con il Campionissimo, a domarne le temibili pendenze (dall’altro versante, quello diventato più battuto di Mazzo di Valtellina), mettendo il sigillo al sogno di una vita, la Maglia rosa finale.
Vincenzo Nibali torna Messina, sarà l’ultima volta al Giro dello squalo?
Limitare l’analisi al Mortirolo, tuttavia, sarebbe riduttivo. Il Giro d’Italia 2022, infatti, propone, tra gli altri, l’arrivo a Messina, città natale di Vincenzo Nibali, che potrebbe anche essere alla sua ultima apparizione lungo le strade della corsa. Chissà che lo Squalo non provi ad arrivarci bardato del simbolo del primato. Il giorno prima, infatti, c’è la scalata all’Etna, al quale lo lega un rapporto particolare, raccontato nel libro autobiografico Di furore e lealtà. Sul vulcano attivo più alto d’Europa, una griffe prestigiosa la mise Alberto Contador nel 2011. Il Pistolero vinse da «uomo solo al comando». Ma la gloria si rivelò effimera, annullata dalla squalifica comminata al ciclista spagnolo. Ne beneficiò il venezuelano José Rujano, giunto a pochi secondi di distacco.
Il Blockhaus, dove nacque il mito di Eddy Merckx
Tra le grandi salite del 2022 ce n’è una altrettanto significativa, in termini storici: il Blockhaus, scalata dal nome alpino, in realtà posta nel cuore dell’Abruzzo. Sulle rampe della montagna appenninica si fece largo il mito di Eddy Merckx, ancora acerbo parente del famelico Cannibale. Il belga, forte di un notevole spunto veloce, all’epoca era considerato più adatto alle classiche. Invece nel 1967 vinse la sua prima tappa al Giro d’Italia con un’azione all’ultimo chilometro, massimo sforzo al culmine di una salita impegnativa. A imitarne e gesta anni dopo arrivarono Moreno Argentin e Ivan Basso, ma non è un caso che a distanza di quasi mezzo secolo resti la vetta resti legata al colpo messo a segno dal più grande di tutti.
La partenza dall’estero e l’arrivo a Verona, tra polemiche e imprese
Non di sole salite, per quanto portata principale, si alimenta il mito del Giro. La corsa, come accennato, partirà dall’estero, riprendendo una tradizione interrotta nel 2018. In quell’occasione i ciclisti presero il via da Gerusalemme, prima volta fuori dall’Europa. Piovvero polemiche. Un po’ come oggi, per la scelta di porre il traguardo della frazione inaugurale a Visegrád, città il cui nome è legato a sentimenti antieuropeisti. Il debutto della gara all’estero risale al 1965. Allora, dato lo sconfinamento a San Marino, però, non si opposero in tanti. L’anno seguente fu la volta del Principato di Monaco. Poi toccò al Belgio, nel 1973. Start a Verviers, Paese del Cannibale che in quegli anni faceva incetta di trionfi. Dall’inizio alla fine, l’ultima fatica andrà in scena a Verona, ennesimo luogo simbolo. La città scaligera segnò una delle imprese più belle della carriera di Francesco Moser, che nel 1984, all’ombra dell’Arena strappò il simbolo del primato al compianto Laurent Fignon. Per riuscirci, nella crono finale, il campione trentino sfruttò la tecnologia rivoluzionaria delle ruote lenticolari. Una delle numerose innovazioni portate in corsa dallo Sceriffo.