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Giro d’Italia: dal Mortirolo al Kolovrat, le imprese della montagna

Il Giro arriva in montagna. E ripercorre alcune delle salite che hanno fatto la storia del ciclismo e non solo. Dal Mortirolo, gloria e disfatta di Pantani, al Pordoi di Coppi fino al temuto Kolovrat, teatro di Caporetto. Le storie.

22 Maggio 2022 10:00 Stefano Iannaccone
le vette del giro di italia

Arriva il tempo delle vette, il richiamo degli scalatori lungo ripide e interminabili ascese. Perché il Giro d’Italia è una carovana che abbraccia l’intera Penisola, scivola lungo le principali città, in uno spettacolo che va oltre la bicicletta. Ma c’è poi il momento in cui il gruppo, folto, deve lasciare spazio agli intrepidi della montagna, ai corridori che alla spicciolata scollinano, esausti, quasi zigzagando. E l’edizione del 2022 regala tanti spunti intrecciando ricordi passati e pronostici futuri. Magari per scrivere nuovi capitoli leggendari di quelle vette.

Le storie delle montagne del Giro
Marco Pantani sul Mortirolo nel 1994.

Mortirolo, gloria e abisso di Pantani

Una salita come il Passo del Mortirolo, in abbinamento con il Valico di Santa Cristina, è un revival della tappa che proiettò Marco Pantani nell’olimpo del ciclismo mondiale. All’epoca era solo un giovane di belle speranze, con la calvizie incipiente fin dalla giovane età e la maglia della Carrera, team protagonista degli Anni 80. La scalata era stata già affrontata due volte, nel 1990, domata dal colombiano Leonardo Sierra, e nel 1991, quando Franco Chioccioli, dominatore di quella corsa rosa, si scoprì “Coppino” non solo per la somiglianza fisica con il campionissimo, ma anche per la capacità di vincere, stracciando gli avversari. Solo tre anni dopo, nel ’94, il Mortirolo iscrisse il suo nome della storia. Legandolo indissolubilmente al Pirata che, dopo aver divorato le rampe durissime di quel Passo, fece il bis sul Valico di Santa Cristina, ascesa non nota per la sua durezza, bensì per quello che fece Pantani, che salutò la compagnia di un certo Miguel Indurain per consacrarsi come un grande corridore. La tappa del 2022 sembra quasi un omaggio al folletto di Cesenatico. Ma non è così. Perché cinque anni dopo, nel 1999, il Mortirolo fu teatro lugubre dell’inizio della parabola negativa del Pirata. Alla partenza da Madonna di Campiglio il suo ematocrito era troppo alto, gli appassionati dovettero assistere sgomento alla vittoria di Ivan Gotti che andò a prendersi quell’edizione, battendo Paolo Savoldelli, staccato proprio sul Mortirolo. Nella memoria resta, con tutto il rispetto per gli interpreti di quella corsa, uno dei momenti più dolorosi per il ciclismo contemporaneo. Anche se, palmares alla mano, il Mortirolo è la montagna di Ivan Basso, che per due volte – nel 2006 e nel 2010 – è arrivato primo al Gran premio della montagna.

Il Pordoi e il mito di Coppi

La sagoma dolomitica del Passo Pordoi è invece cucita addosso a Fausto Coppi. Il Campionissimo è transitato per cinque volte in testa alla fine della scalata, rendendosi protagonista di imprese epiche. Più di tutte c’è però l’edizione del 1947, apoteosi della rivalità con Gino Bartali. Il toscano rimase staccato, per un problema meccanico, già sull’ascesa precedente, il Falzarego. Coppi diede spettacolo sulle rampe del Pordoi, aumentando il divario dai rivali. E conquistando la maglia rosa, che avrebbe indossato fino al termine della corsa, davanti a Ginettaccio. La galleria di scalatori, in grado di scollinare in testa, è ampia. Si va dall’abruzzese Vito Taccone allo spagnolo Marino Lejarreta. Dopo Coppi, l’unico che ha conquistato la vetta da primo è stato il messicano Perez Cuapio, nel 2001 e nel 2002. Due grandi gioie in una carriera declinata rapidamente.

le vette del giro di italia
Il monumento a Coppi sul Pordoi.

Fedaia, la passione del patron Torriani

Quando si parla di Pordoi, viene in mente anche il Passo Fedaia, meglio noto come la Marmolada: le sue salite spesso sono nella stessa tappa. Una micidiale salita dolomitica, nota per lo stradone dritto, ampio, con una pendenza che non scende mai sotto la doppia cifra. Un incubo. Il nome della “Regina delle Dolomiti” è legato a doppio filo con Vincenzo Torriani, mitico patron del Giro d’Italia dal Dopoguerra fino agli albori degli Anni 90. Si innamorò di quella montagna e la introdusse nel 1970, sebbene in una versione ridotta. Il vero battesimo risale al 1975, quando Giancarlo Polidori, onesto mestierante del ciclismo degli Anni 60-70, tagliò per primo il traguardo del Gpm. Tra i suoi successori, sicuramente molto più abili in montagna, ci sono Claudio Chiappucci e Stefano Garzelli, che hanno segnato due momenti importanti del Fedaia.

le vette del giro di italia
Coppi distanzia Bartali sul Falzarego.

L’incubo del Kolovrat 

Tra i giganti più temuti del Giro 2022 c’è un inedito: il Kolovrat, in Slovenia. E non si tratta di un omaggio ai campioni del ciclismo contemporaneo, Tadej Pogacar e Primoz Roglic, entrambi sloveni, ma di un nome che ha fatto la storia d’Italia. In quelle zone c’è stata una sconfitta militare che ha segnato la memoria collettiva italiana: Caporetto, oggi Kobarid. Da quella località inizierà la scalata su una salita mai fatta prima, ma durissima. Così la leggenda del ciclismo si intreccia ai racconti di quella tragedia, quando le montagne erano scenario di ben altri scontri. Per fortuna, verrebbe da dire. Perché un’eventuale Caporetto per un Carapaz o un Landa sarebbe sì dura. Ma con implicazioni molto meno drammatiche.

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