In occasione della XXVIII Giornata Mondiale Alzheimer che si celebra oggi 21 settembre in tutto il mondo, la Federazione Alzheimer Italia, rappresentante per il nostro paese di ADI – Alzheimer’s Disease International, presenta il nuovo Rapporto Mondiale Alzheimer 2021 dal titolo Viaggio attraverso la diagnosi di demenza in cui si parla della difficoltà di accesso alla diagnosi per le persone con demenza: il 75 per cento dei 55 milioni di casi nel mondo non ha infatti una diagnosi ufficiale, percentuale che nei Paesi a basso-medio reddito raggiunge anche il 90 per cento. Secondo il Rapporto, ogni tre secondi si verifica un nuovo caso di demenza da qualche parte nel mondo. E se attualmente si stima che oltre 55 milioni di persone convivano con la demenza, il numero è destinato a salire a 139 milioni entro il 2050, con i maggiori aumenti nei Paesi a basso e medio reddito.
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Giornata mondiale Alzheimer: in Italia si stimano 1 milione e 200 mila casi di demenza di cui 700 mila di Alzheimer
Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) la demenza risulta essere la settima causa di morte per malattia nel mondo e la terza tra gli over 65 in Europa occidentale. In Italia si stimano oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700 mila di malattia di Alzheimer. Le proiezioni, da qui ai prossimi decenni, vedranno un incremento notevole della prevalenza soprattutto per via del processo di invecchiamento della popolazione italiana. L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo (con il 63 per cento di over 65enni), e per questo è più interessata di altri Paesi a una strategia specifica che preveda un piano di investimenti per la gestione dell’anziano e del suo stato di salute. Con oltre il 50 per cento di famiglie unipersonali dovrà prepararsi al sostegno della risorsa-famiglia, dove presente, e attrezzare servizi per quella domanda che non potrà beneficiare della cura informale delle famiglie.
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Giornata mondiale Alzheimer, luci e ombre sul nuovo farmaco: l’aducanumab
Uno spiraglio nella cura dell’Alzheimer è arrivato dagli Stati Uniti. Dopo oltre 20 anni di tentativi, la Fda (Food and Drugs Administration), l’ente nazionale regolatorio per l’approvazione dei farmaci e la loro messa in commercio, ha approvato lo scorso 7 giugno un nuovo farmaco per il trattamento della malattia di Alzheimer: l’aducanumab, nome commerciale Aduhelmun, anticorpo monoclonale in grado di eliminare dal cervello gli accumuli di proteina beta-amiloide ritenuta responsabile della malattia. La decisione è arrivata nonostante gli studi sottoposti alla Fda non dimostrino pienamente l’efficacia del nuovo farmaco: in altre parole non è dato per scontato che ci possano essere dei benefici sul versante delle funzioni cognitive e sul versante dell’autonomia. Tuttavia, poiché l’accumulo di beta-amiloide è ritenuto una delle cause principali dell’Alzheimer la sola dimostrazione della capacità di ripulire il cervello dall’amiloide – secondo la Fda – può verosimilmente avere anche ricadute positive sulla progressione della malattia. La Fda ha chiesto all’azienda farmaceutica Biogen di condurre uno studio al fine di verificare la reale efficacia del farmaco i cui risultati sono attesi per il 2030. Uno dei maggiori ostacoli resta il costo: attualmente l’azienda produttrice ha stabilito un prezzo di 56 mila dollari all’anno per paziente. Per Orazio Zanetti, primario dell’Unità Operativa Alzheimer e responsabile del Servizio Clinical Trial dell’IRCCS Istituto Centro San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli, si tratta di una svolta epocale e rivoluzionaria. Come già avvenuto più di 20 anni fa con i farmaci oggi disponibili – donepezil, rivastigmina e galantamina – l’aducanumab impone una nuova riorganizzazione dei servizi sanitari che dovranno imparare ad affrontare la sfida della diagnosi precoce utilizzando i biomarcatori che consentono di identificare –attraverso per esempio la PET cerebrale – la presenza in eccesso di amiloide nel cervello.