Sarà che i nutrizionisti consigliano di ridurre i carboidrati, sembra che ogni giorno chiediamo all’Altissimo un surrogato del pane quotidiano a zero calorie ma più dannoso per il fegato: la nostra Giorgia quotidiana con cui incazzarci. E a differenza della preghiera relativa al pane, questa viene sempre accontentata: quando a farci girare le scatole non è Giorgia Meloni è Giorgia Soleri, quando non è Giorgia Soleri è Giorgia Palmas, e se nessun’altra Giorgia dice o fa qualcosa di fastidioso possiamo sempre prendercela con Giorgia la cantante. Per quale motivo, a parte il fatto che si chiama Giorgia? Che domande: perché fa la cantante a 50 anni ed è magra, quando in Italia c’è tanta gente che a 50 anni è sovrappeso e non viene pagata per cantare Di sole e d’azzurro. Che poi inneggiare alle domeniche di sole e d’azzurro non solo discrimina i giorni sacri di altre religioni, ma è come minimo inappropriato in tempi di siccità.

Poetessa, influencer, femminista e fidanzata con una rockstar: tutti i motivi per cui si può odiare una donna
Ma questa teniamocela per i giorni in cui non ci sono altre Giorge che ne hanno detta, fatta o postata una più grossa, e non è l’occasione, perché ultimamente a fornire lo spunto per lo sbocco di bile digitale ormai necessario ogni giorno a tanta gente è stata Giorgia Soleri. Alla quale, poverina, per fare arrabbiare il prossimo basterebbe respirare, poiché accumula in sé quasi tutti gli attributi per cui in Occidente si può odiare una donna: 1) È una donna. 2) È una poetessa – lasciamo stare se piccola o grande, il suo vero difetto è essere una poetessa viva, quando le uniche apprezzate sono quelle morte, possibilmente dopo una vita segnata da stenti, incomprensioni, ricoveri in manicomio e una nomea di rompicoglioni che si dissipa solo dopo l’accertamento del decesso. 3) È la fidanzata di una rockstar, una delle categorie femminili più detestate in assoluto dai tempi di Yoko Ono, e qualche ragione c’è: il rocker dev’essere trasgressivo e dionisiaco, vederlo felice e sessualmente appagato al fianco di qualcuno suscita nei fan un astio che viene scaricato sull’incolpevole partner. 4) È un’influencer di successo, cioè, nella mentalità comune, una che viene profumatamente remunerata per fare qualcosa che ognuno di noi è convinto di fare molto meglio di lei, cioè postare i cavoli propri sui social. 5) Si dichiara femminista, cosa che fa incavolare praticamente tutti gli uomini, parecchie donne e anche una discreta quota di femministe. 6) Ha rivelato di soffrire di vulvodinia (dolore pelvico cronico invalidante) a un’opinione pubblica che si preoccupa più alla salute riproduttiva delle orse che di quella delle donne, i cui genitali devono essere naturaliter fonte di piacere altrui e di sofferenza per loro.

Quel post da Ibiza sul riposo come atto politico che sarebbe stato meglio non postare
Ci sarebbe un altro motivo per cui Giorgia Soleri ogni tanto risulta irritante, e cioè che le manca il classico amico o amica che le consiglia di non premere Invio. Ricordo qualche mese fa un suo post apparso su Twitter, un tutorial in cui spiegava il segreto del suo make-up fucsia: mettersi sulle palpebre un ombretto fucsia. Con un pennello. (Mi sono cadute le braccia e pure le palpebre. Ma non mi sono incazzata, forse perché quel giorno c’era già un’altra Giorgia, presumibilmente Meloni, contro cui schiumare). L’amico o amica sarebbe stato ancora più indispensabile per suggerirle di non pubblicare su Instagram le foto della sua recente vacanza con altre influencer a lei affini, accompagnata da un pippacchione vittimista in cui parla del riposo come atto politico nella società che idolatra la performance e l’iperproduttività «per aderire a standard inumani dei valori da sfoggiare». E almeno fosse stata una vacanza in una pensioncina di Igea Marina o di Ladispoli. No: era a Ibiza, località che evoca movida, ozi sulla spiaggia e sfrenatezze sul dancefloor.
Chiunque non nasconda aspetti confortevoli della propria vita diventa un cinico spregiatore delle sofferenze altrui
È da decenni una delle località turistiche più popolari e frequentate d’Europa, affollata di ragazzi di ogni estrazione, non proprio la mecca dei rich kids, ma tanto è bastato perché su Soleri si riversasse una valanga di repliche acide e insultanti. E si capisce: era il classico post che quando lo leggiamo sullo smartphone ci trasforma all’istante in braccianti affamati che rialzano dalle zolle la schiena fiaccata dal lavoro e alzano al cielo il pugno rinsecchito inveendo contro i ricchi fannulloni che gozzovigliano alla faccia del popolo che sgobba per un tozzo di pane. Matteo Bordone l’ha chiamato «giocare a Maria Antonietta», cioè additare chiunque non faccia mistero degli aspetti confortevoli e civili della propria vita come un cinico e frivolo spregiatore delle sofferenze dei diseredati (“vogliono pane? Dategli brioche”). Bordone si riferiva alle polemiche sollevate dall’intervista di Elly Schlein a Vogue, con quell’accenno all’armocromista che di colpo l’aveva tramutata da nuova Rosa Luxemburg a sciacquetta fatua e pretenziosa, ma il ragionamento vale anche per Soleri a Ibiza. Sorpresa a condannare il suo «riposo politico» non è stata «la società che idolatra la performance e l’iperproduttività», ma quella che le disprezza, quella per cui stare male è di per sé avere ragione, anche politicamente, e se non stai male meglio che stai zitto perché nulla di quel che dici ha valore o presa. E Giorgia Soleri l’aveva intuito, se per raccontare la sua vacanza ibizenca si era sentita in dovere di ricordare a tutti la sua sofferenza, evocando i «corpi non conformi, disabili, queer» e «il privilegio necessario a potersi permettere di provare a vivere, anche solo ogni tanto, seguendo i ritmi di cui il proprio sé ha bisogno». Ma non è bastato a salvarla dall’alluvione di fervorini e ramanzine a base di «io non posso permettermi nemmeno mezza giornata a Cesenatico» e «di cosa devi riposarti tu, con tutta la gente che si sbatte e non arriva a fine mese». Non so se esiste un nome greco anche per il dolore pelvico cronico dovuto al tritamento di maroni, ma forse per alleviarlo oggi c’è una terapia: indossare uno spolverino glauco e cantare a squarciagola con Sandy Marton: «People from Ibiza, oh people from Italia, boys from Wonderland…».