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Giorgia Meloni e il complesso rapporto con stampa e comunicazione

Se da un lato guerreggia con la stampa liberal, dall’altro Meloni può contare su testate “di area”. Nei talk è difesa dagli alfieri Bocchino, direttore del Secolo d’Italia, e Giuli. Tra i fedelissimi c’è Chiocci che potrebbe prendere il posto di Maggioni al Tg1 e in Rai Sergio si scalda per sostituire Fuortes.

3 Marzo 2023 09:063 Marzo 2023 09:11 Ulisse Spinnato Vega
Giorgia Meloni e il complesso rapporto con stampa e comunicazione

La querelle su Mario Sechi e la sua nomina, appena confermata, a capo della comunicazione di Palazzo Chigi, con tanto di mal di pancia interni agli ambienti di Fdi e persino della Lega, apre un ulteriore scenario, decisamente interessante, circa le relazioni tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo partito da un lato e il mondo dell’informazione e della comunicazione dall’altro. Eh sì, perché enfatizzare la propria posizione da underdog significa, per la premier, raccontarsi come anti-establishment e dunque lontana da certe élite che sono pure giornalistiche. D’altronde, è risaputo che Fdi ha sempre cercato di valorizzare i comunicatori di antica e comprovata fede politica, pescando all’occorrenza dai serbatoi e dalle nidiate di indiscussa affidabilità.

Governo Meloni, altri addii di portavoce: la spia di un problema
Mario Sechi.

L’emorragia di portavoce dai ministeri

Certo, adesso che i consensi e i ruoli di responsabilità si sono allargati a dismisura, i Fratelli d’Italia si sono trovati “costretti” a ricorrere anche a professionalità lontane dal loro mondo, a volte lontanissime. Dunque, la casamatta meloniana ha dovuto aprirsi. E “contaminarsi”. Vedremo se e come ciò influirà sui rapporti con certi ambienti della grande informazione: di sicuro la vicenda di Mario Sechi, che pure non è un filo-bolscevico, rientra in questo contrasto dialettico tra le pulsioni delle origini e la necessità di dialogare con mondi diversi, di rafforzarsi su nuovi fronti diplomatici, politici e, appunto, giornalistici. Un confronto non sempre facile, se si considera che negli ultimi tempi altri due portavoce hanno clamorosamente abbandonato altrettanti ministri: Marina Nalesso ha detto addio al titolare della Cultura Gennaro Sangiuliano e Giovanni Sallusti (nipote di Alessandro) ha lasciato l’Istruzione e Giuseppe Valditara. Forfait che seguono quello di Gerardo Pelosi quale portavoce del Mimit con Adolfo Urso.

Giorgia Meloni e il complesso rapporto con stampa e comunicazione
Giorgia Meloni (da Instagram).

Bocchino, Giuli e Chiocci: i giornalisti di area

Meloni però fa politica da una vita, non è aliena al sistema come lo era, ad esempio, il M5s. Viene in mente il giudizio della saggista polacco-americana Anne Applebaum su Donald Trump, secondo cui il tycoon faceva la parte dell’anti-establishment ma in realtà viveva al centro di «un certo tipo di establishment», pur essendo bravo a usare «il linguaggio che si trova nei commenti online, sui siti di gossip o nelle più aggressive discussioni di Reddit». Proprio come Trump, Meloni si trova a guerreggiare con la stampa cosiddetta “liberal”, ma al tempo stesso può contare su un certo numero di testate “di area” schierate, con sfumature diverse, accanto al governo. Stessa cosa vale per Mediaset (dove lavora il compagno della premier) benché in questo caso potrebbero pesare in prospettiva gli attriti con l’alleato Silvio Berlusconi. Nei talk show, comunque, non mancano le figure di giornalisti “amici”. Dal direttore del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, tornato in auge grazie soprattutto alla “arcinemica” (di Meloni) Lilli Gruber, al soffice e misurato Alessandro Giuli, cresciuto nel movimento politico di estrema destra Meridiano Zero, ex direttore di Tempi, firma importante, tra l’altro, di Libero e oggi promosso alla guida del prestigioso museo romano Maxxi. Tra i meloniani d’antico conio, visti anche i rapporti familiari, si può ascrivere pure Gian Marco Chiocci, oggi potente direttore di Adnkronos e secondo molti in predicato di sostituire a breve Monica Maggioni alla guida del Tg1, pur con tutte le difficoltà di reclutamento in Rai legate alla sua figura di esterno.

Il ritorno di Italo Bocchino come cantore di Giorgia Meloni
Italo Bocchino (da Fb).

Da Rao a Corsini e Mellone: chi aspetta il verbo meloniano a Viale Mazzini

La Rai, appunto. A Viale Mazzini in molti non vedono l’ora che la premier imponga il suo verbo e già pregustano una possibile scalata. Non è il caso di Mauro Mazza, ex direttore del Tg2 e di Rai1, da sempre in area centrodestra ed ex finiano, che comunque si spende nei talk per difendere Meloni persino dalle bizze berlusconiane. Di Nicola Rao, neodirettore del Tg2, ultimamente si è notata soprattutto la scelta di moltiplicare i vicedirettori, mentre il direttore di RaiNews24, Paolo Petrecca, potrebbe ambire ad altri traguardi, per esempio la guida dei giornali radio. Poi c’è Paolo Corsini, vicedirettore dell’Approfondimento e numero due di Antonio Di Bella. Il pensionamento di quest’ultimo, atteso a marzo, dovrebbe essere rinviato di qualche mese, ma Corsini aspira a sostituirlo e probabilmente si tratterà solo di attendere un po’ di più. Parabola simile per Angelo Mellone, entrato in Rai da fedelissimo di Gianfranco Fini e oggi vicedirettore dell’Intrattenimento Day Time: pure lui è pronto a scalare l’ultimo gradino. Se questi sono alcuni dei nomi da sempre ascrivibili al perimetro della destra o del centrodestra, ci sono poi i neo-meloniani (sì, anche un po’ neomelodici per come se la cantano e se la suonano) più o meno folgorati su via della Scrofa. Si sprecano le polemiche sul “governismo” del Tg1 targato Maggioni, ancora nella bufera per l’ultimo caso legato alla censura del celebre attacco da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Berlusconi. Nel frattempo, più cautamente, l’ex casiniano Roberto Sergio, attuale direttore Radio Rai, sta scalando posizioni e adesso potrebbe addirittura ambire al ruolo di traghettatore dell’azienda dopo l’eventuale uscita di Carlo Fuortes. Prima di destra, poi filo-leghista e ora di nuovo meloniano andrebbe considerato anche Sangiuliano: ma l’ex direttore del Tg2 è, come detto, ministro della Cultura e quindi va espunto dall’elenco.

Rai, Nicola rao nuovo direttore del tg2
Nicola Rao.

La lenta melonizzazione della stampa

Per carità di patria non citeremo cronisti o editorialisti della stampa cartacea o online che stanno effettuando una lenta (per non dare troppo nell’occhio) ma inesorabile torsione da posizioni diverse verso un qualche melonismo, per convinzione o per convenienza (evitiamo i processi alle intenzioni). Dalla parte opposta, però, merita menzione una giornalista, scrittrice ed ex parlamentare che la destra italiana la conosce come pochi. È cresciuta a pane ed Msi, ha diretto il Secolo d’Italia e oggi scrive per La Stampa: si tratta di Flavia Perina, che guarda ai nuovi governanti con indubbio acume, li elogia quando serve, ma sa anche bacchettarne vizi e tic culturali. Ad avercene.

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