Fatto a Bocconi
Francesco Giavazzi, consigliere economico di Draghi, ha avvisato l'università milanese che nel secondo semestre potrebbe tornare in cattedra. Forse è sicuro che il premier andrà al Quirinale. O forse sa che il malcontento dei grand commis verso il suo ruolo strabordante lo travolgerebbe.
Non è mai lunga la vita politica degli economisti che vi si cimentano. Spesso catapultati dalle aule dell’università tra le insidie dei palazzi romani, finiscono per strafare o fare male. Sarà per questo che Francesco Giavazzi, classe 1949, consigliere economico di Mario Draghi con ufficio a un tiro di voce da quello del presidente, ha fatto sapere alla segreteria della Bocconi che nel secondo semestre dell’anno accademico, quello che inizia a marzo del 2022, potrebbe ritornare a tempo pieno all’insegnamento delle sue materie. Alla notizia dai piani alti di qualche ministero si sono visti volare tappi di champagne dalle finestre. Un gran sollievo, soprattutto da parte di quei capi di gabinetto (in primis Alberto Stancanelli, ora con Enrico Giovannini ai Trasporti) che vedevano il professore bergamasco come un vampiro la luce del sole. Ma sono anche molti i titolari di dicastero e i grand commis di Palazzo Chigi cui l’ipotesi di un ritorno di Giavazzi a Milano certo non dispiace. A dispiacersi, forse, qualche collega della Bocconi cui il nostro non è mai stato simpatico per via di quel piglio da sempiterno primo della classe che certo non lo fa ben volere.

Se Draghi va al Quirinale il suo ruolo verrebbe meno
Ma si sa, come un diamante anche la Bocconi è per sempre: vi ritornò Mario Monti, che addirittura aveva sciaguratamente avuto l’idea di fondare un partito. Toccherà a Giavazzi, cui l’idea di farsi un partito non l’ha nemmeno sfiorato, nonostante il trovarsi nella stanza dei bottoni gli abbia procurato la stessa gioia di un bambino al luna park. Il potere, in fondo, è una giostra: si sale e si scende. Ma non è detto che fatto un giro se ne possa fare di seguito un altro. Ora, perché il super consulente del premier abbia avvisato l’università del suo possibile ritorno in cattedra si presta e qualche considerazione. Forse Giavazzi sa che a febbraio il suo dante causa si trasferirà da Palazzo Chigi al Quirinale, e che quindi per lui non ci sarebbe più trippa per gatti. Oppure, e l’interpretazione è più intrigante, potrebbe essere che qualcosa si sia rotto nel mandato fiduciario con cui Draghi lo ha praticamente legittimato a occuparsi di tutti i dossier sul tavolo, dall’ultimo, quello scottante di Tim, ad Alitalia, alle nomine Rai, per non parlare del Pnrr e molti altri ancora.
Non c’è dossier economico che sfugga al decisionismo del super consulente
In effetti negli ultimi nove mesi è lui che ha dato le carte quando il governo ha preso decisioni in materia economica. E non si è fermato alle scelte sui temi di macroeconomia, ma in questo ultimo periodo ha suggerito strade anche di microeconomia e di gestione dei settori e delle imprese di Stato, scavalcando ministri, sottosegretari, componenti della presidenza del Consiglio. Pur non avendo alcuna formale responsabilità in merito ai temi. Ed è per questo che molti, dopo aver sopportato che su ogni cosa mettesse mano il debordante professore, ora lo contestano apertamente. Al punto che anche al suo amico Draghi sarebbe venuto qualche dubbio sulla tenuta di un sodalizio che ormai gli procura quotidiani grattacapi.

La storia del sodalizio di Draghi e Giavazzi
Certo, il legame si era consolidato nel tempo perché il prof. ing. Francesco Giavazzi è un vecchio amico con cui il premier ha mosso i primi passi come grand commis di Stato negli Anni 90, quando entrambi hanno lavorato al ministero del Tesoro; ma si erano conosciuti 15 anni prima a Boston, quando conseguirono un Phd al Mit, Draghi nel 1977 e Giavazzi nel 1978. Da allora non si sono mai lasciati, Giavazzi più impegnato nella attività di insegnamento, Draghi nelle istituzioni bancarie statali e commerciali in Italia e in Europa. Del loro stretto rapporto si era capito sin da subito, quando il presidente del Consiglio ha tenuto il suo primo discorso al Senato e alcuni passaggi ricalcavano la ricca pubblicistica di Giavazzi, tra le tante cose editorialista del Corriere della sera per anni in tandem con il compianto Alberto Alesina. Ad accorgersene, creando non poco imbarazzo, fu Carlo Clericetti, acuto giornalista di Repubblica. Da allora Giavazzi è praticamente su tutto, come il prezzemolo. Un ritratto pubblicato lo scorso agosto dall’Espresso lo incoronava come “unico vicepremier di Draghi”: «Si conoscono da sempre e il presidente si fida ciecamente del suo amico. L’ha portato a Palazzo Chigi col ruolo di ‘senior advisor’, ma l’economista della Bocconi è sui dossier più importanti: dalla riforma del Fisco la stesura del Pnrr, dalle nomine di Stato all’operazione UniCredit col Monte dei Paschi», scriveva il settimanale.

L’irritazione di Mattarella e Cartabia per i suoi interventi in materia di Giustizia
Forse perché più abituato alla teoria economica che alla prassi, il professore della Bocconi si è fatto spesso portatore di proposte che hanno lasciato basita la burocrazia ministeriale. Come quando voleva riformare il Cnr commissariandolo con un comitato di esperti che di fatto neutralizzava l’autonomia dell’ente e il ruolo del parlamento. O quando è intervenuto in materia di Giustizia, facendo arricciare il naso a Sergio Mattarella e alla Guardasigilli Marta Cartabia. La ricetta magica di Giavazzi per rimediare all’atavico sfascio della giustizia italiana prevedeva che i giudici mettessero le cause in fila e le risolvessero una dopo l’altra concentrandosi un giorno per ciascuna di esse. Dimenticava l’economista che le cause devono essere istruite, che i diritti debbono essere provati, e che il diritto di prova è costituzionalmente garantito. Nonché un altro decisivo dettaglio, ovvero che le cause in corso sono 5 milioni e i giudici 9 mila, e che quindi per smaltirle tutte ci sarebbe voluto uno spropositato numero di anni. Tanto interventismo, spesso supportato da modi non proprio felpati, ha fatto sì che negli ultimi tempi il mugugno dei vari dicasteri da latente sia esploso. E che non siano in pochi quelli che, direttamente o indirettamente, hanno manifestato a Draghi la loro insofferenza. Sarà un caso, ma da qualche tempo il premier si affida sempre più spesso a Marco D’Alberti, il suo consigliere giuridico che ora ha coinvolto anche in tutte le partite economiche.