È ripartito da qualche giorno l’NBA, il più famoso e prestigioso campionato di basket del mondo, e anche quest’anno una delle stelle è Giannis Antetokoumpo aka the Greek Freak, un ragazzone greco di origine nigeriana la cui storia sarebbe perfetta per essere narrata in un kolossal hollywoodiano o in lungometraggio della Pixar. Lo fa in maniera ragguardevole un libro uscito da poco, edito da 66thand2nd, intitolato Odissea, scritto da Andrea Cassini, traduttore, romanziere e giornalista sportivo per L’Ultimo Uomo.

L’eroe che ha riportato Milwaukee al centro della mappa del basket che conta
«Sbarcato in NBA nel 2013 quando era ancora uno sconosciuto e magrissimo 19enne greco», scrive Cassini, «Antetokoumpo è migliorato così tanto da vincere il premio di Most Improved Player, nel 2017, e poi addirittura due premi di MVP della stagione regolare, nel 2019 e nel 2020, a cui ha aggiunto anche il riconoscimento come difensore dell’anno, un’accoppiata riuscita solo a Michael Jordan e Hakeem Olajuwon. Ha infilato tre convocazioni all’All Star Game e ha raggranellato statistiche individuali che, per efficienza e dominio sulla partita, hanno richiamato come termine di paragone Shaquille O’Neal e soprattutto Wilt Chamberlain». Basterebbe questo per sperticarsi le mani di applausi considerando che a 27 anni non ancora compiuti, si presenta già tra i giocatori international, cioè non americani, più titolati di sempre e che è stato l’uomo in grado di riportare i Bucks di Milwaukee al centro della mappa del “basket che conta” 50 anni dopo Oscar Robertson e Kareem Abdul-Jabbar.

L’Odissea di The Greek Freak, dalla Nigeria all’Europa fino all’olimpo del basket Usa
La storia di the Greek Freak però viene da lontano e Odissea la racconta dal principio, partendo dalla migrazione dei suoi genitori da un villaggio suburbano della Nigeria per Lagos e successivamente in Europa, in Grecia, ad Atene, nel popoloso distretto operaio di Sepoia, a nord della Capitale. I nigeriani immigrati in Grecia non hanno diritto alla cittadinanza, sono apolidi. Il padre si arrabatta in mille lavori per mantenere la famiglia, la mamma si ricicla tuttofare, donna delle pulizie e Giannis e i suoi fratelli vendono vestiti e borse contraffatte sulle bancarelle vicino all’Acropoli. Poi a un certo punto arriva il basket, che in Grecia ha una lunga e antica tradizione e tutto cambia. Arriva la sliding door. Giannis arriva alla seconda categoria greca con la maglia del Filathlitikos, club che grazie a lui si ritrova a lottare per un’insperata e inedita promozione nella massima categoria. «Con le telecamere della televisione greca che sbarcano nella palestra dai muri gialli e grigi, la nazione si accorge di Giannis», scrive Cassini, «è un elemento così innovativo, una mina vagante e una macchia di colore nell’austero basket greco, che in breve tempo diventa il beniamino dei tifosi». Seguiranno un contratto con il Saragozza nel campionato spagnolo e il definitivo sbarco negli Stati Uniti, in NBA, anche se al momento delle prime sirene americane Giannis Antetokoumpo è ancora privo di cittadinanza, apolide, invisibile e inesistente agli occhi dello Stato greco. Va da sé che Giannis immediatamente diventa da persona non grata a cavallo vincente e addirittura ambasciatore della Grecia nel mondo. Si realizza così la favola di Giannis, «il greco e il nigeriano, l’apolide salvato dall’America e che a sua volta ha salvato Milwaukee». La storia di Giannis che da eroe dei tre mondi con la sua storia di povertà e riscatto diventa il volto dell’NBA progressista dell’era Trump e l’impersonificazione vivente del sogno americano. Il sogno dell’uno su 38 milioni che ce la fa.