Dopo 30 anni è ancora «intramontabile», per usare un neologismo che si era inventato lui, uno dei più famosi, quello di cui andava più fiero: 30 anni senza Gianni Brera, maestro – uno dei casi in cui l’appellativo non viene usato a sproposito – del giornalismo sportivo italiano. Morì a 73 anni il 19 dicembre 1992 a Codogno, poi diventata tristemente famosa pure per il Covid, in un assurdo incidente stradale. Colpa di uno scontro frontale con la macchina di un ragazzo che andava a 170 chilometri orari in una curva col limite a 60, e che inevitabilmente invase la corsia opposta provocando lo schianto e la morte sul colpo di tutte le persone coinvolte. Erano solo 10 anni che Brera si era trasferito a la Repubblica, arrivando da il Giornale, a partire da quel mitico Mundial del 1982 vinto dall’Italia in Spagna. E pensare che il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari era nato senza una redazione sportiva. Per usare il racconto dei giornalisti di Repubblica, era «come una città senza stadio che a un certo punto compra Maradona».

La crociata di Brera a favore del calcio difensivo: oggi cosa direbbe?
I suoi articoli si riconoscevano dall’incipit, “l’attacco” del pezzo, per lo stile inconfondibile frutto di una grande cultura classica e di un’eccellente vena letteraria: eppure Brera preferiva la difesa, calcisticamente parlando. Aveva intrapreso una crociata a favore del “prima non prenderle”, convinto che le scarse qualità fisiche degli italiani imponessero un gioco più accorto, meno offensivo e quindi meno dispendioso: così dovevano giocare secondo lui i club italiani e la Nazionale, motivo per cui criticò anche Arrigo Sacchi e la sua rivoluzione tutta pressing e “calcio totale”. Chissà se oggi si sarebbe definito “Allegriano”, fan del “corto muso”, chissà quante intemerate contro la rischiosissima “costruzione dal basso”, chissà come avrebbe infilzato il noiosissimo tiqui-taca spagnolo capace di produrre mille passaggi e una manciata di tiri in porta, come si è visto con la nazionale di Luis Enrique eliminata malamente al Mondiale 2022 in Qatar.
Partecipò alla Resistenza, scrisse per La Gazzetta subito dopo la guerra
Nato a San Zenone al Po, in provincia di Pavia, l’8 settembre 1919, fece la Resistenza, partecipando con il fratello Franco alla sparatoria della Stazione centrale di Milano contro i tedeschi. Subito dopo la guerra iniziò a scrivere per La Gazzetta dello Sport, dove divenne direttore a soli 30 anni. Poi un periodo da freelance in cui lavorò con Tempo, il Messaggero e l’Ėquipe, fondò e diresse Sport giallo per poco tempo, fino a quando nel 1956 nacque il Giorno e a Brera fu chiesto di gestire la redazione sportiva. Collaborava anche con il Guerin Sportivo e nel 1967 ne assunse la direzione. Poi il ritorno alla Gazzetta negli Anni 70 e per un breve periodo (1979-1982) fu al Giornale di Indro Montanelli. Fino al già citato e definitivo passaggio a la Repubblica. «Trattatelo come un grande maestro», disse Scalfari a chi teneva i conti del giornale, quando si trattò di assumerlo. E, come raccontato dal Venerdì, Brera poi ricambiò il favore dicendo no a un assegno in bianco del Corriere della Sera.

Indimenticabili tutti i suoi neologismi e i soprannomi ai calciatori
A rendere Brera immortale sono stati i molti neologismi che coniò, la maggior parte dei quali è entrata nell’uso comune pure in ambiti diversi da quello sportivo. Tra i tanti, libero, contropiede, catenaccio, traversone, staffilata, melina, quest’ultima per indicare il passarsi la palla con tocchi ravvicinati per perdere tempo, citando un gioco in voga a Bologna, passato poi a descrivere uno schema del basket Anni 30. Indimenticabili anche i soprannomi che affibbiava, tra cui spicca “il Cavaliere” per Silvio Berlusconi. Restando ai calciatori, come non citare “il piscinin” Franco Baresi, “Bonimba” per Boninsegna, “Puliciclcone” per Paolino Pulici, ma anche “il Barone” Franco Causio e soprattutto “Rombo di tuono” Gigi Riva e “l’Abatino” Gianni Rivera, a cui non risparmiò critiche e stilettate: aveva una classe sopraffina ma non abbastanza doti agonistiche, imperdonabile per un grande sostenitore del calcio sparagnino “all’italiana”.
Tag43 vi dà il buongiorno con uno dei suoi tanti giudizi al veleno, con tanto di battibecco nella stagione 1977-78 con Roberto Bettega della Juventus.