Il piano tedesco di uno “scudo difensivo” da 200 miliardi di euro, disponibili dall’inverno 2022 fino alla primavera del 2024, per combattere in Germania gli aumenti del costo del gas, dell’energia elettrica e dei carburanti a vantaggio delle imprese e delle famiglie, è stato accolto benissimo dai tedeschi e malissimo dai partner europei. Dopo aver detto no a varie proposte di interventi collettivi europei, la Germania fa da sola. Il piano supera e ingloba varie misure già in atto e simili a quelle adottate tra l’altro anche in Italia, e soprattutto mette a disposizione tutta la potenza di fuoco disponibile grazie alla solidità dei conti pubblici tedeschi. La norma costituzionale che impone limiti al deficit di bilancio viene sospesa per un anno. Inoltre il grosso dell’extra indebitamento con cui sarà finanziato il piano (più particolari sono attesi entro ottobre) avverrà attraverso un veicolo finanziario speciale off-budget, come continua a ripetere il ministro delle Finanze Christian Lindner della Fdp, la formazione più tiepida verso la Ue nella coalizione “semaforo” con socialdemocratici e verdi.

Perché il piano tedesco non funziona
Perché la Germania si è mossa ignorando in un momento così delicato qualsiasi logica europea e come Berlino potrebbe procedere senza scassare la Ue? Vediamo per prima cosa quanto non funziona in questo piano. Non è stato minimamente discusso con i partner, che immediatamente avrebbero chiesto di rivederlo in una logica diversa, di impegno comune, visto che da tempo Italia, Francia e Spagna, e non solo, chiedono limiti comuni ai prezzi dell’energia e altro, il tutto bloccato da Germania e Olanda con l’aiuto dell’Austria. Viola pienamente, come ha subito rilevato il commissario al Mercato interno, il francese Thierry Breton, le regole sulla concorrenza, perché mette l’industria tedesca in una posizione di vantaggio non conforme dalle regole del mercato unico. Conferma l’idea che la Germania non è interessata a una vera collaborazione in campo energetico. E conferma l’idea che Berlino non abbia riflettuto sui propri gravi errori che hanno reso questa crisi così drammatica. Il primo, e che li riassume tutti, avere insistito a non voler vedere fino al completamento del secondo gasdotto nel Baltico, il Nord Stream 2, e all’attacco russo all’Ucraina, i gravi rischi insiti nell’eccessiva dipendenza di tutta l’industria tedesca e dell’intero Paese dall’energia di una Russia ormai chiaramente decisa a riaffermare la propria presenza in Europa e da sempre convinta del proprio diritto a rendere questa presenza, se possibile, dominante.

La sindrome Schroeder e il rischio di una crisi europea
Berlino non è stata la sola a commettere questo errore ma, avendo vantato da sempre una particolare conoscenza del mondo russo, è quella che ne porta le maggiori responsabilità, precipitando nella “sindrome Schroeder”, l’ex cancelliere tedesco legatissimo al Cremlino degli affari e ora messo al bando in Germania e definito «quell’agente di Putin che a un certo punto diventò cancelliere a Berlino». Poi c’è stata la chiusura prematura delle centrali nucleari, ora rivista. E adesso lo “scudo”, accolto con entusiasmo dall’intera Germania, come se Bruxelles non dovesse obiettare. Ursula von der Leyen non lo ha fatto, privilegiando la sua nazionalità rispetto al suo ruolo, ma molti commissari Ue hanno gridato allo scandalo. Restano ora tre strade. Una impraticabile e irrealistica: rinunciare al piano; una seconda: accettare l’idea di una risposta fiscale europea sulla falsariga di quanto fatto per la pandemia e di fatto quindi accettare la fine per un lungo periodo delle politiche di austerità e di quelli che furono i noti parametri di Maastricht; o esporsi all’ostilità dei partner e aprire una crisi gravissima nella Ue nel momento meno opportuno, con una guerra ai confini. La Germani può certamente aiutare industria, economia e famiglie in base ai propri mezzi e disponibilità, ma nella Ue non si può procedere in questo modo.

Berlino considera l’Ue un ricco mercato di libera esportazione e poco altro
La cosa più sorprendente, rilevata dalla FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung) è la diffusa sorpresa manifestata dalla quasi totalità dei tedeschi a fronte delle reazioni irritate. Ci sono spiegazioni di breve e di lungo respiro. A breve, si può dire che per molti tedeschi la Ue è soprattutto un grande e ricco mercato di libera esportazione, spesso non si va più in là, “pagato” con la rinuncia tra il 1993 e il 1998 al deutsche Mark, la vera bandiera del riscatto tedesco dopo due guerre perdute e dopo il nazismo. In Germania non tutti sanno quanto questo sia profittevole per il popolo tedesco, che considera i vantaggi dell’Europa per acquisiti, e pagati a caro prezzo aiutando i pasticcioni del Sud. I meccanismi dell’Unione sono troppo complessi. E l’idea di Europa, nel piccolo continente che si è suicidato due volte in nome del nazionalismo, è per molti troppo sofisticata, in Germania come altrove, Italia come noto compresa. Andando a fenomeni di lungo periodo c’è altro a distinguere la Germania, che ha avuto una storia nazionale più complicata e drammatica di quella italiana, già difficile di suo. Dall’impero e dall’incredibile miracolo economico di 140 anni fa alla prima sconfitta, poi a una traballante e debole repubblica democratica scarsa di democratici, al nazismo, a una seconda totale sconfitta, al protettorato americano, e infine al secondo potente Wirtshaftswunder, il miracolo economico degli Anni 50 e 60. La storia nazionale per molti tedeschi è un buco nero e un peso, compensato da un forte attaccamento all’essere tedeschi, alla germanità definita in termini di efficienza e superiorità organizzativa.
La Germania e l’incertezza di essere una Terra di mezzo
Da molti decenni si parla di Vergangenheitsbewältigung, di controllo del passato e pace con il passato, ma non è semplice. Gordon Craig, fra gli storici americani un maestro di germanistica, osservava a suo tempo che il primo lascito storico, nonostante i successi della Repubblica Federale, era «una sensibilità quasi neurotica ai segnali di difficoltà economiche, accompagnata da una tendenza…a reagire con pessimismo e comportamenti ruvidi». A questo si aggiunge l’incertezza storica su che cosa alla fine significa essere das Land der Mitte, la terra di mezzo, tra Ovest ed Est, la realtà geografica tedesca che pone domande e dilemmi. Fino a che punto la Germania fa parte dell’Europa occidentale? Non dovrebbe forse guardare anche alle terre euroasiatiche e coltivare i propri interessi con la Russia (Schroeder!), indipendentemente dal regime di quel Paese? Un matrimonio perfetto, già codificato dal Patto Molotov-Ribbentrop del 1939 e ancor prima dal Trattato tedesco-sovietico di Rapallo del 1922, tra tecnologia tedesca e materie prime russe. Dovrebbe essere la Germania, ci si chiedeva ancora quando si preparava quella che sarebbe stata la Repubblica Federale, membro di stabili e forti alleanze occidentali oppure un ponte fra Est e Ovest, anche a costo di innervosire i propri vicini? La Guerra Fredda doveva seppellire sotto molta terra questi istinti, ma Helmut Kohl, che conosceva bene la storia del suo Paese, non li ha mai sottovalutati, e per questo accettava di dare in pegno ai partner europei il deutsche Mark, creando così un forte ancoraggio monetario con l’Occidente.

La condotta di Berlino conferma la visione di Putin dell’Europa
Lo “scudo energetico”, per come è stato annunciato, conferma una Germania che, proprio per le complessità e ambivalenze della sua autoimmagine, da vera Land der Mitte, rifiuta di avere in Europa quel ruolo guida politico che il suo peso economico le assegnerebbe. Una Germania che pensa di non avere partner, il suo partner è il mondo, o che ritiene di avere già pagato i suoi prezzi ai soci Ue. Non si può procedere in modo così contrario alle regole e allo stile della casa europea, anche quando si difendono interessi nazionali evidenti, ma che non devono diventare nazionalisti. La realtà di una guerra vicina, e di una Russia minacciosa che comandava ancora poco più di 30 anni fa a Lipsia Dresda e su mezza Berlino, dovrebbe insegnare i limiti della solitudine, in un’Europa che non può contare in eterno sullo scudo americano. Ma troppi tedeschi hanno difficoltà a vedere la complessità delle cose, sono lucidissimi determinati e intransigenti ma solo su un principio alla volta. Non accettano, a partire dal ministro delle Finanze Lindner e della sua Fdp, partito dei ricchi timoroso dei postulanti dell’Europa del Sud, uno “scudo” meno in rotta di collisione con le regole europee. E sembrano disposti a far saltare, di questi tempi, il tavolo europeo. Ma sarebbe la prova provata che l’Unione Europea, come dice Mosca, è una tigre di carta e un fantoccio del capitalismo americano. E poi?