Addio al gas russo. A tappe forzate, ovviamente, ma la Germania con l’invasione dell’Ucraina sembra aver dato una svolta decisa alla sua dipendenza da Mosca. In tempo record. Dopo quasi 10 mesi dall’inizio della guerra si inaugura questo weekend in pompa magna il primo terminal per il gas naturale liquefatto (gnl) a Wilhelmshafen, sul Mare del Nord, alla presenza del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. La norvegese Höegh Esperanza, nave Frsu (Floating Storage and Regasification Unit, unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione) ha attraccato a metà settimana con il suo primo carico di 170 mila tonnellate di gnl. Per Berlino una prima assoluta, visto che fino a ora il gas era sempre arrivato tramite i tubi dall’Est. Il governo semaforo guidato da Scholz a braccetto con verdi e liberali non ha impiegato molto a trovare una strategia alternativa e ora si apre ufficialmente una nuova era, per lo meno di transizione. Un piano di rivoluzione energetica, per quel quel riguarda la diversificazione delle vie del gas, che si concluderà quando tutti i terminal galleggianti e i rigassificatori previsti saranno operativi. E ci vorrà ancora qualche anno.
Tra terminal galleggianti e terrestri si potrebbero superare i volumi importati dalla Russia nel 2021
Sembra, secondo un recente rapporto, che il ministero dell’Economia tedesco preveda addirittura una notevole sovracapacità del nuovo settore, fra terminal galleggianti e terrestri, che potrebbe superare i volumi di importazione di gas dalla Russia nel 2021. Nei prossimi anni, Berlino pianifica in totale 10 terminal galleggianti nel Mare del Nord e nel Mar Baltico, sei dei quali con partecipazione statale. Secondo il documento del ministero, questi da soli avranno una capacità da 53 a 67 miliardi di metri cubi di gas all’anno dal 2024 in poi. Inoltre, entro il 2026 saranno costruiti tre terminal a terra, anch’essi con una capacità fino a 50 miliardi di metri cubi di gas. Per dare un’idea, l’anno scorso 54 miliardi di metri cubi sono stati importati dalla Russia.

Le indagini sul sabotaggio del Nordstream sono finite nel dimenticatoio
Certo, il conflitto in Ucraina ha ribaltato il tavolo: Scholz ha dovuto abbandonare ogni resistenza nei confronti della apertura di Nordstream 2, il secondo braccio del gasdotto sotto il Baltico, e la riduzione progressiva dei flussi da Mosca, azzeratisi di fatto alla fine dell’estate con le bombe che hanno bloccato entrambi i tubi, ha accelerato un processo divenuto ormai inevitabile. Il sabotaggio di Nordstream in realtà non è stato ancora chiarito e Mosca ha accusato direttamente la Gran Bretagna e i Paesi che avrebbero tratto vantaggio dal blocco, cioè Polonia e Ucraina; le indagini, che le autorità competenti svedesi stanno tenendo coperte, sono finite comunque nel dimenticatoio, offuscate dagli sviluppi del conflitto e dal fatto che la Germania ha preso appunto un’altra strada.

Berlino e le difficoltà di approvvigionamento nel 2023
Il cammino tedesco non è però privo di ostacoli e la situazione energetica attuale è stabile solo perché gli impianti di stoccaggio sono stati colmati durante l’estate scorsa grazie alle forniture che sono arrivate dalla Russia. Non è per nulla chiaro quello che succederà l’anno prossimo, quando la quantità di gnl in arrivo non sarà comunque sufficiente a supplire alla mancanza russe. Al di là di quella che è la questione morale, che vale per la Germania come per tutti i Paesi europei che stanno facendo le medesime scelte, sia sul gnl che sulle importazioni da altri Stati: il fatto di abbandonare l’import di gas da Mosca per sostituirlo con quello provenienza dal Qatar (che si impegna a diventare dal 2026 uno dei principali fornitori di gnl della Germania) e dall’Azerbaijan non è certo una questione di democrazia o diritti umani.