È arrivato dunque il contratto di governo, nero su bianco, che verrà coronato l‘8 dicembre con l‘elezione alla cancelleria di Olaf Scholz. Promessa mantenuta nei tempi, quella di siglare l’accordo e aprire ufficialmente l’era della coalizione semaforo prima di Natale. Socialdemocratici, verdi e liberali si dividono così 17 ministeri per adempiere a un programma a più tinte, dove è difficile dire quale sia la dominante. Ce n’è un po’ per tutti, secondo il metodo proporzionale, e anche se oggi non c’è stata la presentazione dei ministri, pare che le poltrone chiave verranno alla fine occupate dai candidati di punta, come previsto alla vigilia e senza sorprese.
La verde Baerbock agli Esteri e il liberale Lindner alle Finanze
A parte Scholz al Kanzleramt, la leader dei Grünen Annalena Baerbock andrà quindi al ministero degli Esteri e quello della Fdp Christian Lindner gestirà le Finanze. I socialdemocratici avranno tra l’altro gli Interni, la Difesa e il Lavoro, ai verdi ovviamente l’Ambiente e il nuovo ministero per l’Economia e il clima che finirà al futuro vicecancelliere Robert Habeck, ai liberali Giustizia e Trasporti. Nel programma, racchiuso in 177 pagine, sono delineate le riforme per i prossimi anni: si va dalla decarbonizzazione anticipata, a livello ideale nel 2030, all’aumento del salario minimo, dalla distribuzione controllata di cannabis alla facilitazione dei ricongiungimenti familiari per gli immigrati. Attenzione al clima, ai conti, ai ceti più deboli e ai bambini, come ha sottolineato Baerbock, madre di due figli, nella conferenza stampa di presentazione a Berlino. Tutti contenti quindi? Pare di sì, ma il peggio deve ancora venire.
Il nuovo governo Scholz travolto dalla quarta ondata
Prima di mettere mano ai temi del programma ci sono infatti le emergenze attuali da affrontare. E non sono poche, calcolando tutto ciò che si accumulato in questi ultimi mesi, a partire da un’estate che ha visto la politica concentrarsi sulla campagna elettorale, salvo svegliarsi improvvisamente sul versante interno a luglio per l’alluvione che ha colpito l’ovest del Paese e su quello esterno con il caos causato dal ritiro statunitense dall’Afghanistan che ha avuto riflessi indesiderati a Berlino. Gli ultimi mesi di Angela Merkel alla cancelleria sono stati caratterizzati dalla perdita della bussola anche nella gestione della pandemia, con il risultato che ora la Germania si trova nel pieno della quarta ondata con le spalle al muro. È questo il problema principale che Scholz e il prossimo ministro della Salute, che sarà un socialdemocratico, ma di cui non si conosce ancora il nome, dovranno risolvere.
La priorità per il nuovo cancelliere è evitare il lockdown
Se il governo Merkel ha dormito nei mesi estivi, ignorando gli avvertimenti dell’Istituto Koch, tra elezioni e transizione il virus ha continuato fare il suo mestiere, con il risultato che il Paese è stretto nella morsa dei contagi schizzati alle stelle, con oltre 50 mila nuovi casi al giorno, e le terapie intensive in alcune regioni ormai al limite. Il ministro della Salute uscente Jens Spahn ha annaspato insieme ai governatori regionali cercando di tamponare ove possibile, è mancato però un coordinamento che ora Scholz dovrà forzare, se non vorrà rimanere intrappolato nella strategia dei lockdown come è successo a Merkel nel recente passato. Il nuovo parlamento a maggioranza ha già votato per la fine dello stato d’emergenza pandemico dal 25 novembre, la realtà è però tutt’altra e la coalizione semaforo dovrà prenderne atto il più presto possibile.
Sul fronte estero il fronte caldo resta la Russia
Lo stesso discorso vale per le altre questioni che per forza di cose dovranno essere prese di petto e metteranno subito alla prova l’abilità di mediazione di Scholz, con i verdi e liberali al primo test di pragmatismo governativo. Se la pandemia è l’urgenza sul fronte interno, sul fronte esterno il dossier caldo è quello russo, che ha molti risvolti: voci di conflitto in Ucraina, guerra ibrida sul fronte bielorusso, energia. La Germania negli ultimi 20 anni, con il cancellierato di Gerhard Schröder prima e con Merkel poi, è stata il partner privilegiato per la Russia di Vladimir Putin. La crisi ucraina del 2014 e il cambio di regime a Kiev hanno mutato le cose, ma nonostante tutto Berlino e Mosca sono rimaste agganciate, per ragioni economiche e geopolitiche. L’arrivo al governo di verdi e liberali difficilmente cambierà la rotta, visto che la Germania rimane nel ruolo di mediazione in Ucraina, come garante degli Accordi di Misk, e la partnership energetica, che non si estrinseca solo attraverso il discusso gasdotto Norstream, è ben solida. È certo però che le frizioni interne sono programmate, soprattutto per il fatto che Grünen e Fdp vengono da anni di opposizione in cui si sono costruite un profilo che ora subirà certamente qualche colpo. Soprattutto in casa verde, dove Annalena Baerbock, priva di ogni esperienza governativa anche a livello locale, dovrà vedersela sul parquet internazionale non più con i compagni di partito un po’ più realisti di lei, ma con vecchie volpi come Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo. D’altra parte l’esempio è quello del pacifista ante litteram Joshka Fischer, primo ministro degli Esteri verde nel governo Schröder, che nel 1998 si trovò appena eletto a difendere al Bundestag il primo intervento militare nella storia della Germania dal Dopoguerra, quello in Kosovo, senza nemmeno il mandato delle Nazioni Unite.
Il primo scossone all’idealismo dei verdi è arrivato dalla crisi tra Bielorussa e Ue
I primi colpi all’idealismo verde sono arrivati già sulla questione bielorussa, in cui la tradizionale linea della solidarietà e dell’accoglienza è andata sostanzialmente a farsi benedire con il sostegno ai pushback polacchi. Primo segno di pragmatismo e di allineamento che si vedrà su altri terreni, come quello energetico, dove l’abbandono del carbone in anticipo non può che significare un aumento dell’importanza nel prossimo decennio per il gas, e del tanto vituperato Nordstream, proprio per accelerare la transizione, al netto dell’irrealistico obiettivo di arrivare entro il 2030 all’80 per cento di rinnovabili, più che raddoppiando la quota attuale.