Gli affari di Scholz a Pechino e i rischi di un nuovo sovranismo tedesco

Sebastiano Venier
08/11/2022

L'OBOLO DI SAN PIETRO. Scholz ha deciso di intensificare i rapporti commerciali con la Cina. Fregandosene dell'Europa. Mentre gli Stati Uniti temono di perdere il controllo sull'economia mondiale. I tedeschi però hanno la memoria corta: il sovranismo germanico è sempre stato sconfitto.

Gli affari di Scholz a Pechino e i rischi di un nuovo sovranismo tedesco

Nei giorni scorsi si è svolto a Pechino l’incontro fra Xi Jinping e Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco, primo leader occidentale a incontrare il presidente cinese dopo la sua riconferma, è volato in Cina accompagnato dai big dell’industria tedesca. Un viaggio molto controverso e poco gradito ai partner europei e americani, soprattutto dopo il rifiuto di Scholz di farsi accompagnare dal presidente francese Emmanuel Macron. Neanche le motivazioni dell’incontro hanno convinto. Il cancelliere ha cercato di calmare le acque sostenendo che il suo viaggio era legato al fatto di dover spiegare a Pechino che le relazioni sino-tedesche non potevano continuare invariate. La verità però è un’altra e viene dai numeri. La Germania non può permettersi di fare a meno della Cina. La ragione è semplice. Delle 10 società tedesche di maggior valore quotate in Borsa, nove traggono almeno il 10 per cento dei ricavi da Pechino. Da sei anni la Cina è il primo partner commerciale della Germania: il primo fornitore e il secondo sbocco delle merci tedesche dopo gli Stati Uniti. La Volkswagen vende il 40 per cento di tutte le auto che produce in Cina. Un milione di posti di lavoro dipende dall’export verso Pechino, mentre il 46 per cento delle imprese lavora con prodotti e materie importate dalla Cina. Nel solo primo trimestre del 2022 le imprese tedesche hanno collocato 10 miliardi di euro. Basf da sola ha intenzione di investire 10 miliardi da qui al 2030 perché in quell’anno la Cina rappresenterà il 50 per cento della chimica mondiale. Siemens ha annunciato imprecisati massicci investimenti in base al piano “Marco Polo” per raddoppiare entro il 2025 le vendite. E tralasciamo il settore auto.

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Un incontro a distanza fra Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Xi Jinping. (Getty)

Il contestato ingresso di Cosco nel porto di Amburgo

Per queste ragioni il cancelliere ha insistito per l’approvazione della proposta di acquisto di un terminal del porto di Amburgo (città di cui è stato sindaco) da parte della cinese Cosco, nonostante l’opposizione o i dubbi di sei ministri. Alla fine, l’affare si è fatto anche se la quota ceduta è stata del 25 per cento anziché del 35 come chiedevano. Il tema dell’ingresso di una società cinese nella proprietà del porto della città anseatica ha creato polemiche politiche molto accese. Il compromesso sorto, oltre a limitare la quota d’ingresso, prevede che alla Cosco venga negata la possibilità di «concedersi contrattualmente diritti di veto sulle decisioni strategiche in materia di affari o di personale». Inoltre, è stato vietato di nominare membri del management. Come ricorda lo Spiegel online, la questione di una partecipazione cinese al porto di Amburgo è stata oggetto di una forte contrapposizione nelle stesse fila del governo. Sei ministeri avevano espresso esplicita contrarietà all’operazione che invece Olaf Scholz ha voluto portare avanti. La ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, ha mantenuto la sua opposizione alla compravendita. Nel maggio scorso già aveva deciso di non estendere l’assicurazione di Stato sugli investimenti della Volkswagen in Cina e di istituire un tetto al numero di investimenti tedeschi che godrebbero dell’assicurazione. Sempre la ministra ha dichiarato: «Non possiamo più permetterci di diventare esistenzialmente dipendenti da un Paese che non condivide i nostri valori. La completa dipendenza economica basata sul principio della speranza ci lascia aperti al ricatto politico, utili a fidelizzare la base elettorale che crede in una politica estera tedesca fondata sul rispetto dei diritti umani».

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L’incontro in Cina tra Olaf Scholz e Xi Jinping. (Getty)

Grandi vantaggi per Berlino: profitti e posti di lavoro

Anche il ministro dell’Economia Robert Habeck aveva già messo in guardia da nuove dipendenze della Germania, dopo quella energetica dalla Russia. Nella fattispecie, il suo ministero nel settembre del 2021 aveva effettuato una ampia valutazione del memorandum d’intesa tra la società che gestisce la logistica del porto di Amburgo e la Cosco Shipping Ports Limite e ne era uscita l’intenzione di bloccare l’ingresso nella società portuale. Persino il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha affermato che «per il futuro dobbiamo trarre le lezioni necessarie, il che significa ridurre le nostre dipendenze ovunque questo sia possibile, e questo riguarda anche la Cina». Ma le polemiche non sembrano volersi fermare. A detta di Friedrich Merz, leader della Cdu, è un errore dare il via libera all’accordo: «Non capisco come il cancelliere abbia insistito su una situazione del genere. Non si tratta di questioni finanziarie, bensì politico-strategiche». Ma allora perché questa collaborazione non si è fermata? Volendo pensare male si può sostenere che il governo di Berlino, inclusa l’opposizione, abbiamo polemizzato sapendo benissimo che in ogni caso le imprese tedesche avrebbero continuato ad avere scambi con Pechino, con grandi vantaggi per la Germania in termini di profitti e di posti di lavoro. Non è un caso che nella grancassa mediatica ostile alla sua politica, il cancelliere abbia fatto intuire la presenza di una mano anglosassone, interessata al decoupling del sistema economico occidentale da quello cinese allo scopo di frenare la rincorsa di Pechino all’egemonia mondiale. In poche parole, l’intento di Washington è evitare che la connessione tra Germania, Russia e Cina diventi la più grande minaccia al controllo americano dell’economia mondiale.

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Joe Biden, Olaf Scholz ed Emmanuel Macron. (Getty)

Occhio alla risposta americana. E la storia insegna…

Una riflessione per alcuni versi interessante ma che si scontra contro un inquietante interrogativo. Da parte sta Berlino? Con l’Occidente o ha altre celate ambizioni? È ovvio che privilegiare esclusivamente gli interessi tedeschi mette in crisi la stessa idea di Europa e l’asse atlantico. Come è naturale, al contrario di Bruxelles, gli americani non staranno a guardare. Molte le contromosse possibili. Le imprese tedesche potrebbero presto avere problemi economici perché le agenzie di rating stanno ora includendo anche la valutazione del rischio geopolitico. E questo presto potrebbe far sì che diventi molto costoso per le imprese di Berlino rifinanziarsi sul mercato. Con una provocazione, potremmo dire che la guerra russo-ucraina ha messo fine all’interdipendenza economica-energetica fra Germania e Russia; gli oneri finanziari e i capitolati d’appalto potrebbero congelare la dipendenza commerciale con la Cina. La decisione di diventare poi una potenza militare (100 miliardi di stanziamenti vanno al di là della partecipazione alla Nato in un ruolo subordinato) ha ulteriormente fatto suonare gli allarmi a Washington. E si sa che l’amministrazione americana ha tutti i mezzi (basta ricordarsi il caso delle emissioni delle auto tedesche o la crisi di Deutsche bank) per colpire una Berlino non rispettosa dei principi e delle regole su cui è nata l’Europa. La Germania si trova dunque difronte a un bivio. Essere lo Stato più importante all’interno dell’Ue con i privilegi e gli oneri che ne derivano o muoversi da sola nello scacchiere internazionale. La storia insegna (forse i tedeschi hanno la memoria corta) che il sovranismo germanico è sempre stato sconfitto. Speriamo che questa volta la classe politica berlinese sappia privilegiare la cultura occidentale dei suoi cittadini a scapito di puri interessi aziendali o individuali.