Dopo i Zillenial, spunta un’altra categoria, questa volta usata per identificare i nati tra il 1981 e il 1985. Si tratta dei Geriatric millennial. L’etichetta, coniata dalla scrittrice americana Erica Dhawan e utilizzata per fare riferimento alle persone d’età compresa tra i 35 e i 40 anni, non avrebbe accezione negativa, al contrario quanto si possa pensare. Nell’articolo postato su Medium ad aprile di quest’anno e diventato virale grazie a un’accesa polemica divampata sui social (il pezzo è stato retwettato 15mila volte), Dhawan intendeva utilizzare la definizione per riferirsi ai nati a cavallo tra i senior della Generazione X e i Giovanissimi della Z, in piena trasformazione tecnologica, sospesi nel passaggio tra la comunicazione analogica e l’avvento del digitale.
Tra i primi a crescere, studiare, giocare con un computer in casa, hanno vissuto da protagonisti la rivoluzione di internet e si sono misurati con i trilli di Messenger e la community di MySpace, prima di approdare su Zoom, Instagram, Twitter e, da qualche tempo, Clubhouse. Contemporaneamente, non sono stati svezzati a pane e social, godendo della fortuna di poter osservare il mondo che li circonda senza lasciarsi condizionare troppo dai filtri e le app imposti dal web.
Geriatric Millennial, la versatilità al potere
Sarebbero proprio il vantaggio anagrafico e la fortuna di aver toccato con mano una comunicazione pre-digitale, molto più gestuale e fisica, i segreti del loro successo professionale. Al contrario dei boomer, infatti, padroneggiano con dimestichezza i linguaggi più innovativi. Il riferimento è a quelli usati su app come Snapchat e TikTok. «Aver imparato a parlare, a comunicare senza l’intermediazione di uno schermo o di un social è quel che distingue maggiormente i millennial anziani dai più piccoli», ha spiegato Dhawan. «I geriatrics sono in grado di leggere il sottotesto di un sms così come possono facilmente cogliere l’indecisione di un cliente dalle sue smorfie durante un colloquio o una riunione. Stanno a metà tra chi si è adattato al tech e chi, invece, non ha idea di cosa sia una vita senza una connessione Wi-fi. Non sono incompetenti totali in fatto di tecnologia, ma non ne sono neppure completamente assorbiti, come nel caso dei teenager di oggi».
Ed è proprio questa sospensione a renderli i candidati ideali a posizioni di leadership in team di lavoro che operano attraverso modalità ibride, dividendosi tra ufficio e smart working: «Essere preparati tanto negli stili di comunicazione analogica che digitale è un’abilità fondamentale per diventare un leader. Ecco perché hanno una marcia in più».
Forti critiche sulla scelta del nome
L’ambiguità della definizione ha, però, innescato la polemica su Twitter. Gli utenti hanno proposto un’alternativa più gentile e, secondo il sondaggio apparso sul profilo ufficiale di Medium, preferirebbero l’espressione Original Millennial. I toni, piuttosto accesi hanno costretto l’autrice a pubblicare un articolo in cui chiariva le ragioni alla base di una scelta che, ai suoi occhi, non voleva essere denigratoria. «Mentre infuriava il dibattito, la gente continuava indirettamente a darmi ragione», ha sottolineato Dhawan nel secondo testo.
«Quel che volevo dire era semplicemente che fosse sbagliato comprendere, in una grande categoria, generazioni inevitabilmente diverse per il loro approccio alla tecnologia. E la definizione Geriatric millennial si riferisce proprio a questo: grazie alla fortuna di essere nati in quell’epoca lì, sappiamo usare la grammatica dei Boomer, ma riusciamo a confrontarci senza problemi anche con i nativi digitali. Nessuna discriminazione». Più che sull’etichetta, quindi, forse è meglio badare alla sostanza.
We understand some are having *feelings* about this title.
Taking votes for a new one:
— Medium (@Medium) May 14, 2021