I più fortunati li abbiamo visti piangere davanti a un telefono. Ribadire in lacrime di non sapere cosa stessero facendo. Altri non ne hanno avuto neppure il tempo. Sono i giovani soldati russi, convinti con l’inganno a partire per il fronte, a prendere parte all’invasione dell’Ucraina. Le loro facce scorrono sugli smartphone, riempiono i canali Telegram, le pagine social e quelle dei giornali. Ormai li conosciamo. Hanno vent’anni o poco più, nati sotto Putin, mandati a morire mentre lo zar, al netto delle voci su cospirazioni di palazzo, resta saldo alla guida del Cremlino. Molti si sono avvicinati alla leva per esigenze economiche. Tra loro, c’era Igor Ivkin. Con il Covid a picchiare duro e la compagna incinta, appena maggiorenne ha preferito le certezze di un contratto a breve termine nell’esercito ai punti interrogativi di una vita in falegnameria. È morto a Kharkiv: dodici mesi prima era entrato nelle forze armate. «Il 25 marzo mi hanno dato la notizia della scomparsa, il 30 lo abbiamo sepolto nel villaggio di Vorontsovo, lo stesso in cui era nato», ha raccontato la moglie Yulia Ivkina al Moscow Times. La donna ha spiegato come il marito si lamentasse di non avere cibo e dell’incompetenza militare dei superiori. «Si pensa solo a scherzare, è un caos», diceva. A qualche settimana dall’invasione gli fu concesso di tornare a casa per vedere la figlia appena nata. Il congedo, che doveva durare dieci giorni, venne dimezzato, un ufficiale gli impose di fare immediatamente marcia indietro. Poi sono arrivate la guerra e con lei la morte.
Leggi anche: Perché è difficile contare i morti russi

Secondo le cifre ufficiali 25 ragazzi russi sarebbero caduti al fronte
Le cifre ufficiali parlano di 25 ragazzi caduti al fronte sui 1.351 soldati russi deceduti. La realtà, purtroppo, pare molto molto più amara. In questo contesto, il prezzo pagato dagli under 22, la generazione Putin, è il più salato in assoluto. «Non hanno esperienza militare, in prima linea sono i più vulnerabili», ha dichiarato l’esperto militare russo Pavel Luzhin. «Quando hai 18 o 19 anni, inoltre, non hai troppa paura della morte. Con molto testosterone nel sangue, tendi a fare cose stupide. A 25 anni il discorso già cambia». Nessuno conosce il numero esatto nei giovani schierati nell’«operazione speciale», certamente sono migliaia. «Bambini, siamo bambini. Ci hanno portato in guerra a 18 anni», gridava immortalato in un video, nei giorni scorsi, un gruppo di adolescenti. «Il ministro della Difesa non sa neppure chi siamo. Che facce abbiamo e cosa facciamo qui. Ci hanno semplicemente gettato in questa merda».
Leggi anche: Le foto che hanno cambiato la percezione della guerra
Università, scappatoie e tangenti: come evitare l’obbligo di leva imposto dalla legge russa
Dietro il reclutamento, la legge russa per la quale tutti gli uomini tra i 18 e i 27 anni sono obbligati a un anno di leva. Che però non vale per tutti. Chi viene dalle grandi città o da ambienti ricchi riesce a evitarla iscrivendosi all’università, sfruttando scappatoie o pagando tangenti. Gli altri non hanno troppa scelta: ingrosseranno le fila dell’esercito. Poi, una volta dentro arrivano le pressioni. Ci sono prove di coscritti incentivati dagli ufficiali a firmare contratti, questi semplificano le procedure per spedirli in zone di guerra: «Cercano di farti il lavaggio del cervello, ti dicono di essere indispensabile per le forze armate. Ti passano in rassegna le scarse prospettive di una vita alternativa alle armi. Così, le persone firmano», ha ribadito Luzhin. Un copione non nuovo, già sperimentato in Georgia e Cecenia. «I documenti una volta compilati trasformano i giovani in soldati a contratto», ha detto a febbraio Olga Larkina, direttrice del Comitato delle madri dei soldati, al sito web di notizie indipendente Meduza. In un simile scenario si capisce perché molti adolescenti siano finiti al fronte e tanti lo faranno, nonostante le dichiarazioni dei funzionari. I vertici militari hanno ammesso la presenza dei coscritti in Ucraina, archiviandola come errore. Specificando che i responsabili sarebbero stati punti.

Ma intanto si muore. David Arutunyan aveva 18 anni, veniva dalla Buriazia, al confine con la Mongolia. In Ucraina è stato ammazzato e riceverà una medaglia postuma per aver salvato un commilitone prima di essere ucciso. Magra consolazione, o forse no. «A volte, basta questo», ha ribadito Allyson Edwards, un accademico britannico specializzato in militarismo russo e educazione patriottica. «I caduti in guerra sono sempre inquadrati come eroi. A molte persone non piace pensare che il proprio figlio sia morto invano». È un modo come un altro per tamponare il dolore.