Tavola Calta
Dietro il clamoroso addio del costruttore romano dal cda di Generali il timore del possibile concerto tra i soci e l'iscrizione nell'insider list del comitato strategico del gruppo triestino.
Generali dai mille colori: giallo (come finirà la battaglia per il suo controllo?). Rosso, poiché la guerra si invelenisce e rischia di farsi cruenta. Rosa, come le famose quote che omaggiano la maggior femminile presenza nei cda delle aziende. Qui per altro già pare non ci saranno sorprese perché Francesco Gaetano Caltagirone, Calta per gli amici, che giovedì 13 gennaio in tarda sera ha preso cappello e se ne è andato sbattendo la porta, ha deciso che nella lista che porterà all’attenzione dell’assemblea della compagnia il presidente sarà presidentessa. I nomi sono stati fatti, ed è lì che si andrà a parare. Potrebbe essere Paola Severino , ex ministro e avvocatessa della gente che piace, di cui si è strologato persino di più alte ambizioni al Colle. Oppure Patrizia Grieco, che a oggi ricopre lo stesso incarico nel Monte dei Paschi, tra l’annoiato e il risentito perché il governo non riesce a sbrogliare la matassa senese. Quindi vogliosa di levare le tende prima possibile.

La battaglia contro Philippe Donnet
Tra i pattisti (Caltagirone, Del Vecchio, Fondazione Crt) che vorrebbero la testa dell’attuale ad Philippe Donnet decollata su un vassoio d’argento, indubbiamente il Calta è quello che si dà più da fare. Non che il suo alleato Leonardo Del Vecchio non gli tenga bordone, diciamo però che mediaticamente se ne sta più defilato, e la montagna di soldi che ha investito ha preferito dirottarla per la gran parte su Mediobanca, che di Trieste resta pur sempre il primo azionista. Anche se con le azioni in prestito (per sommo scorno da Axa che di Generali è arcirivale), e anche se i due scatenati vecchi continuano a comprare senza sosta. Con l’obiettivo, neanche tanto celato, di arrivare alla resa dei conti di fine aprile con più azioni di quelle su cui può contare il nemico di piazzetta Cuccia.

La manovra a tenaglia di Caltagirone e Del Vecchio
Calta, carsico ma costante negli acquisti, è invece un fiume che corre impetuoso alla luce del sole quando si tratta di fare sapere che sulle Generali boia chi molla, e lui infatti va avanti impavido forte di un’invidiabile liquidità e una determinazione che non gli è nuova. Quindi, se si tratta di tener viva l’attenzione, non si tira mai indietro. A dicembre non aveva votato il piano industriale proposto da Donnet, un mese dopo saluta tutti ed esce dalla compagnia di cui, non è un dettaglio, è anche vicepresidente. La motivazione sembra una ripicca caratteriale: gli attuali gestori non tengono in considerazione quello che dice, lo isolano dalla gestione come fosse un corpo estraneo. Lui ci ha messo una paccata di miliardi e, in barba a governance, separazione dei ruoli tra management e azionisti, regole del mercato e ammennicoli vari, obbedisce a un solo comandamento della finanza, il quinto: chi ha i soldi ha vinto. Ma qui il carattere c’entra poco, anche se non bisogna mai dimenticare che tutta questa battaglia origina dal fatto che illo tempore Mediobanca si mise di traverso alle mire di Del Vecchio che voleva prendersi lo Ieo, il polo oncologico voluto e fondato da Umberto Veronesi. Per tutta risposta l’occhialaio di Agordo si ripromise di comprare la banca che fu di Cuccia e Maranghi, non fosse che la Bce mise più di un paletto che ne rallentò i belligeranti intenti. Ovvio che chi si prende Mediobanca si prende anche Generali, ma fino a poco tempo fa l’inarrestabile duo aveva deciso per una manovra a tenaglia: Del Vecchio su Mediobanca, Calta direttamente su Trieste. Alla fine i due alleati, come gli americani e i russi che alla fine della Seconda Guerra sulle rive dell’Elba, si sarebbero ricongiunti in piazza Unità d’Italia a celebrare il comune trionfo.

I due motivi dietro l’addio di Caltagirone al cda di Generali
In realtà Caltagirone lascia il cda per due motivi, che i suoi avvocati (lo zampino è sempre quello dell’onnipresente Sergio Erede) gli hanno ben rappresentato. Il primo: la Consob, che guarda con pigra attitudine alla partita, potrebbe svegliarsi e agitare lo spettro del concerto, ovvero una iniziativa surrettiziamente coordinata con gli altri soci, che evoca il rischio di una possibile costosissima Opa sulla compagnia. Il secondo: tutti i membri del suo comitato strategico sono iscritti a una insider list. Vuol dire che, essendo al corrente di operazioni price sensitive che le Generali hanno in essere, non possono bellamente comprare azioni del gruppo pena il rischio di incorrere nell’infamante reato dell’utilizzo di informazioni riservate. Ora, siccome Caltagirone negli ultimi tempi ha fatto reiterati acquisti di Generali, sia mai che qualche regolatore punti il dito. Perché, nonostante sia un protocapitalista e pensi per molti versi giustamente che la roba sia di chi la compra, Calta è in realtà attentissimo alle questione legali e mai poi mai vorrebbe cadere preda di qualche trappola leguleia. Perciò meglio togliere il disturbo da un consiglio che lui di suo in realtà frequentava già poco. A livello di immagine il gesto rinforza la sua fama di impavido e coriaceo imprenditore che vuole arrivare alla meta. Dall’altro gli risparmia spiacevoli ancorché eventuali complicanze. Farà lo stesso anche Del Vecchio, imponendo al suo fidato Romolo Bardin di mollare ogni incarico seguendo l’esempio del suo alleato romano? On verra, come dicono Oltralpe.

Le troppe tensioni a Trieste potrebbero danneggiare la reputazione del gruppo
Alla fine resta il fatto che su Trieste si stanno accumulando troppe tensioni, e il rischio che ciò vada a detrimento della reputazione del gruppo è forte. Agli investitori (oltre il 40% del capitale è in mano ai fondi), specie quelli senza bandiera, sono situazioni che non piacciono. Se si prolungano poi rischiano di alimentare disaffezione. Forse sulle Generali prima che sia tardi bisognerebbe trovare un compromesso, forse il governo invece che girarsi dall’altra parte potrebbe dare uno sguardo e preoccuparsi di quello che di gran lunga è il più importante asset finanziario del Paese, nonché un formidabile detentore del suo debito. Ma nelle guerre contano le forze e non i forse. E quelle in campo hanno ancora qualche mese per dispiegare tutte le loro armi.