La strana serie di omicidi e suicidi che ha coinvolto negli ultimi mesi Gazprombank, una delle pochissime banche russe non escluse dal sistema internazionale di pagamenti Swift perché attraverso di essa si regolano gli affari del gas tra Russia e Paesi occidentali, è quantomeno strana. Morti tre manager in tre mesi e uno partito come volontario per combattere in Ucraina contro le truppe del Cremlino. Se la guerra di Vladimir Putin non è quella di Igor Volobuev, vice presidente dell’istituto andatosene a marzo a Kyiv a imbracciare le armi, le vicende di Leonid Shulman, trovato morto il 29 gennaio, di Alexander Tyulyakov, impiccatosi il 25 febbraio , e di Vladislav Avaev, sparatosi il 18 aprile dopo aver sterminato la famiglia, hanno una tempistica un po’ troppo ravvicinata per passare inosservate.

Il giallo degli omicidi suicidi in Gazprombank fa ripiombare la Russia negli Anni 90
Certo in Russia sono tempi duri per banchieri, manager, oligarchi di primo, secondo o terzo piano; i guai finanziari e familiari all’ordine del giorno, e anche se non si vede in ogni caso la mano vendicativa del Cremlino che punisce traditori o presunti tali le teorie del complotto fioriscono a ogni angolo. La realtà è che per ora poco o nulla si sa veramente e sembra quasi di essere ritornati al clima degli Anni 90, quando ai tempi della transizione postcomunista sotto Boris Yeltsin le controversie nel mondo degli affari si risolvevano a colpi di pistola o col veleno, come per Ivan Kivelidi, presidente di un piccolo istituto bancario a Mosca, morto dopo che il suo telefono era stato contaminato con il novichok, agente nervino che sarebbe diventato famoso con il caso di Sergei Skripal nel 2018. Allora Putin non era arrivato ancora al Cremlino e le faide russe rimanevano entro i patrii confini. Gli Anni 90 sono anche quelli dell’ascesa di Gazprombank, nata appunto come cassaforte di Gazprom, a sua volta sorta dalle ceneri dell’Urss e affidata al suo inizio a Victor Chernomyrdin, ex ministro del settore del gas sovietico, diventato uno degli uomini forti nella Russia yeltsiniana, poi sostituito da Rem Viakhirev, altra vecchia volpe, rimasto in carica dal 2001. Da allora Gazprom, e Gazprombank con il resto delle aziende più o meno sorelle, a partire da Gazprom Media, fanno sostanzialmente capo a Alexei Miller, il fedelissimo di Putin che appunto da oltre 20 anni dirige la gigantesca società, in larga parte privata, ma controllata dallo Stato.

Le ombre sul numero uno di Gazprombank Andrei Akimov
Il personaggio di punta di Gazprombank, capo del consiglio di amministrazione da due decenni, è un altro rappresentante del cerchio magico putiniano, ossia Andrei Akimov, che le biografie non ufficiali indicano come un amico di infanzia del presidente nella San Pietroburgo degli Anni 60, quando ancora si chiamava Leningrado. Dopo gli studi di economia a Mosca negli Anni 70 è sempre stato attivo nel settore bancario, soprattutto nelle relazioni con Europa germanofona, tra Svizzera, Austria e Germania, e dal 2003 ceo della banca del Cremlino. Come ad altri, gli viene attribuita la vicinanza ai servizi segreti ed è naturalmente finito nella black list dei sanzionati dall’Occidente. Le sanzioni ad personam contro il suo numero uno non impediscono però a Gazprombank di adempiere ancora alle sue funzioni, incassando così i miliardi di dollari o euro che i Paesi importatori di gas pagano alla Russia regolarmente. All’inizio del mese scorso è entrato in vigore il decreto firmato da Putin che obbliga il pagamento in rubli, con l’escamotage dei due conti, cosicché di fatto le aziende che in Europa importano gas apriranno due conti bancari presso Gazprombank uno in valuta occidentale e uno in rubli. I pagamenti avverranno sul primo, in euro o in dollari, che poi la banca si preoccuperà di convertire sul mercato di Mosca e pagare effettivamente Gazprom, cioè l’azienda venditrice. Chi non si adegua e se lo può permettere perché del gas russo non ha bisogno, come Polonia e Bulgaria, è già stato escluso, gli altri dovranno adattarsi al nuovo sistema.