Fino a qualche settimana fa Gautam Adani era l’uomo più ricco dell’Asia. Il sorridente volto del magnate indiano capeggiava sulle copertine dei principali magazine economici del mondo, incurante dello tsunami che avrebbe presto travolto il suo impero economico, Adani Group, attivo in diversi settori tra cui materie prime, operazioni portuali, logistica, energia, agricoltura, difesa e aerospaziale. L’incubo di Adani, 60 anni, inizia il 24 gennaio 2023. Hindenburg Research, un fondo di investimenti con sede a New York e focalizzato sulla vendita allo scoperto di titoli, attacca le società quotate di Adani Group, pubblicando un report che accusa il gruppo indiano di essere coinvolto in «sfacciate manipolazioni azionarie e frodi contabili» che andrebbero avanti da decenni. Il giorno successivo, nonostante le immediate smentite del conglomerato, la fortuna di Adani passa da 126,4 miliardi di dollari a 120 miliardi di dollari. Nell’arco di poche ore finiscono in fumo 6 miliardi.
L’accusa di «saccheggiare sistematicamente la sua nazione»
Il mercato azionario indiano risponde negativamente all’intera vicenda, ma Mister Adani può ancora accontentarsi di essere il terzo paperone più ricco del Pianeta. Il 26 gennaio il patrimonio netto del tycoon resta invariato, anche perché i mercati indiani sono chiusi per la Festa della Repubblica. Il 27 gennaio le azioni quotate di Adani Group subiscono però una nuova svalutazione che fa scendere il patrimonio del suo fondatore a 98,1 miliardi, spingendolo fuori dalla top 5 dei più facoltosi del mondo. Lo scontro tra il conglomerato indiano e Hindenburg Research si fa sempre più acceso. Il gruppo confuta il rapporto della società statunitense, definendolo un attacco rivolto verso l’India e le istituzioni del Paese. Secca la replica: Adani Group citerebbe la bandiera indiana «mentre saccheggia sistematicamente la sua nazione».

Mancanza di investitori, ormai impossibili da rassicurare
La tempesta finanziaria aumenta d’intensità. Le società quotate che fanno capo all’Adani Group continuano a perdere valore, così come il patrimonio del fondatore, arrivato addirittura a 64,4 miliardi di dollari. Un dissanguamento totale, quello subito dal gruppo indiano, che si aggrava ulteriormente quando il magnate si trova costretto ad annullare una vendita di azioni da 2,4 miliardi. Il motivo di una simile scelta: la mancanza di investitori, ormai impossibili da rassicurare. Il primo febbraio l’ammiraglia del conglomerato, la Adani Enterprises, chiude la giornata in rosso del 28,20 per cento. L’epilogo della vicenda è ancora tutto da scrivere, ma stanno emergendo particolari inquietanti.

Il gruppo avrebbe giocato di sponda con paradisi fiscali offshore
Secondo l’accusa, il gruppo si sarebbe arricchito giocando di sponda con i paradisi fiscali offshore. Allo stesso tempo cresce la preoccupazione per l’elevato indebitamento e le valutazioni delle sette grandi società del conglomerato, visto che, a detta di Hindenburg Research, l’Adani Group poggerebbe su una base finanziaria precaria. Per Reuters il crollo delle azioni è arrivato a 74 miliardi di dollari, mentre gli investitori stranieri hanno venduto azioni indiane per un valore netto di 1,5 miliardi di dollari. Il rischio contagio, ossia che il bubbone Adani possa espandersi e coinvolgere l’intero sistema indiano, è dietro l’angolo.
Adani è considerato molto vicino al premier indiano Narendra Modi
Il crollo di Adani Group potrebbe avere ripercussioni economiche e politiche sull’India. Dal punto di vista politico, Gautam Adani è considerato vicino a Narendra Modi, anch’egli originario dello stato del Gujarat. Il suo impero, inoltre, sarebbe cresciuto a ritmi forsennati anche (e soprattutto) grazie al legame stretto con il primo ministro indiano. Non è un caso che la strategia aziendale di Adani sia andata di pari passo con gli sforzi di Modi per sviluppare l’economia del Paese. Quando il leader del Bharatiya Janata Party (BJP) ha promesso di estendere il sistema nazionale elettrico a più indiani, Adani ha raddoppiato la produzione di energia a carbone.

Si intrecciano interessi privati e obiettivi di sviluppo governativi
Nel 2021, altro esempio emblematico di convergenza tra Adani e Modi, l’imprenditore ha avviato la costruzione di un importante impianto portuale in Sri Lanka, in un piano che sarebbe stato incoraggiato dal governo indiano, intenzionato a frenare l’influenza cinese nella regione. In qualità di campione nazionale, il tycoon ha insomma sempre allineato i suoi interessi commerciali con gli obiettivi di sviluppo di Modi, intervenendo spesso laddove lo Stato non disponeva di risorse o competenze, e contribuendo a creare migliaia di posti di lavoro. La discesa verso gli inferi di Adani Group potrebbe seriamente danneggiare l’agenda Modi.
Potrebbe essere necessario un salvataggio statale
Dall’altro lato c’è da soppesare un altrettanto, scottante, discorso economico. Diverse banche del settore pubblico indiano – oltre a istituti internazionali – detengono ingenti partecipazioni nella società. Se il colosso – le cui società sono intrecciate a doppia mandata con le infrastrutture dell’India – dovesse crollare del tutto, allora i contribuenti indiani ne risentiranno pesantemente. All’orizzonte potrebbe materializzarsi la figura di un salvataggio statale, va da sé, finanziato dall’erario pubblico.

Per il Fmi la crescita del Pil doveva essere fra il 6,1 e il 6,8 per cento
A Wall Street, intanto, gli investitori hanno messo in discussione la loro fiducia nei confronti dell’espansione dell’India. Il governo Modi, attaccato dall’opposizione per il silenzio sulla vicenda, al momento non intende esporsi. Risultato: il futuro dell’Elefante indiano può essere sintetizzato in un grande punto interrogativo. E pensare che per il Fondo monetario internazionale (Fmi) l’India si sarebbe dovuta agilmente confermare come la locomotiva del mondo, con una crescita del Pil per il 2023 stimata tra il 6,1 e il 6,8 per cento. A questo punto i riflettori sono puntati su Adani Group: dal suo destino potrebbe dipendere l’avvento (o meno) del miracolo indiano.