Patata bolletta

Stefano Grazioli
18/01/2022

Il prezzo del gas continua a salire spinto dai venti di guerra che soffiano in Ucraina. Il braccio di ferro tra Occidente e Russia danneggia solo il Vecchio continente che dal punto di vista energetico dipende da Mosca. Il punto.

Patata bolletta

Il prezzo del gas sale, ancora oltre gli 80 euro per megawatt sulla piazza di Amsterdam, accompagnato dai venti di guerra che soffiano in Ucraina. Il braccio di ferro fra Russia e Stati Uniti sul futuro status dell’ex repubblica sovietica, fuori dalla Nato come vorrebbe il Cremlino o sempre più vicina all’Alleanza Atlantica secondo la Casa Bianca, si riflette inevitabilmente sui mercati. E i dossier si sovrappongono: quello militare si accavalla con quello energetico e i rischi, soprattutto per l’Europa che sta nel mezzo, aumentano. Anche per quel riguarda il gas la narrazione è opposta: da una parte Mosca afferma di essere fuori dai giochi speculativi, osservando i contratti per le forniture; dall’altra Bruxelles e Washington parlano di pressioni indebite e sostanziali ricatti. Al netto della propaganda da entrambi i lati, la situazione di fondo è chiara e si spiega con l’insieme dei fattori che nelle differenti versioni dei contendenti vengono invece isolati.

Gas, chi danneggia davvero il braccio di ferro tra Russia e Ue
Un impianto in Siberia (Getty Images),

L’Europa dipende dal gas russo

Il capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), il turco Fatih Birol, ha accusato la Russia di aver tagliato le forniture di gas all’Europa di un terzo in un momento «di forti tensioni geopolitiche», sottintendendo che Mosca abbia creato ad hoc una crisi energetica per obiettivi politico-strategici. Vero o meno, l’Europa ha bisogno di gas, oltre il 41 per cento del gas naturale consumato in Ue viene fornito dalla Russia (voce che nel 2020 ha rappresentato più del 49 per cento delle importazioni dall’estero extra Ue), il resto arriva da Norvegia (16,2 per cento), sempre meno dalla Gran Bretagna (5,5 per cento), Africa (Algeria 7,6 per cento) e Medio Oriente (Qatar 5,2 per cento nel primo semestre 2021). Persino l’Unione europea nella nuova tassonomia vuole classificare il gas come energia verde, essenziale per quella transizione decennale che ci vorrà verso la sostenibilità con le rinnovabili. Nel frattempo, con i giacimenti europei, britannici e olandesi che si stanno esaurendo e gli altri poco veicolabili, il gas russo rimarrà quello di riferimento, vista anche la scarsa competitività di quello liquido (Gnl) in arrivo da altre rotte.

Il blocco del Nord Stream 2 e la questione ucraina

Lo sa bene Vladimir Putin e lo sa bene la Germania, che ha abbandonato il nucleare e del gas russo non può fare a meno. Il progetto Nord Stream (1 e 2, con una capacità ognuno di 55 miliardi di metri cubi all’anno), con la costruzione di gasdotti sotto il Mar Baltico per collegare direttamente Russia e Germania nasce proprio su queste premesse. A Kiev e agli altri, dai Paesi baltici alla Polonia, non piace, perché la Mitteleuropa viene tagliata fuori dai giochi e soprattutto dalle tasse di transito (circa due miliardi di dollari all’anno per l’Ucraina). A ogni modo, sia attraverso la via nord che quella centrale, sempre di gas russo si tratta. Tradotto: bloccare Nord Stream 2 come vogliono i falchi a Bruxelles e Washington non servirà a nulla, se non a danneggiare tedeschi ed europei, tanto più che la Russia con l’Europa ha chiuso e vede solo la Cina. La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock in visita a Kiev lunedì ha confermato che il progetto verrà eventualmente accantonato solo se si arriverà a un conflitto armato tra Russia e Ucraina.

Gas, chi danneggia davvero il braccio di ferro tra Russia e Ue
Vladimir Putin (Getty Images).

È vero che Mosca rispetta i contratti, si tratta di quelli sul lungo periodo, ed è però, comunque, interessata al via libera per Nord Stream, ora ufficialmente bloccato per cavilli legali. La Russia e il colosso statale Gazprom preferiscono i naturalmente prezzi alti anche sul mercato spot, per rimpinguare le casse sul breve periodo. Nessuno in ogni caso vuole fare beneficenza, nemmeno gli americani che mandano larga parte del loro Gnl in Asia, dove la sete è maggiore, al pari dei guadagni. Gli Usa sarebbero interessati a entrare anche nel mercato europeo, ma il gioco non vale la candela e si sono limitati di fatto a dichiarazioni tra la solidarietà e la propaganda. Già lo scorso dicembre Putin aveva accusato l’Europa di essere causa dei propri mali, facendo notare che gli impianti di stoccaggio potevano essere rabboccati prima dell’inverno e che attingere da quelli piuttosto che comprare al mercato spot fa sì risparmiare, ma può anche essere un rischio. Così come la questione del braccio tedesco-polacco di Yamal, il gasdotto russo che passa per l’Europa centrale (con una capacità di 33 miliardi di metri cubi) che da quasi un mese pompa non verso Occidente, ma dalla Germania verso la Polonia. Varsavia, che non ha rinnovato i contratti con Mosca, preferisce ricevere gas di ritorno, con il benestare momentaneo di tutti. Intanto però i prezzi continuano la loro corsa e Gazprom non ha prenotato nemmeno per febbraio quote maggiori per l’export, non essendoci state richieste in questo senso da parte di nessuno. Resta da vedere per quanto tempo durerà il fragile equilibrio e quanto sarà influenzato dai fattori esterni: non solo le temperature di un inverno che è ancora lungo, ma gli sviluppi sul fronte russo-ucraino nel Donbass.