A Fukushima, in Giappone, alcuni ricercatori hanno applicato ad alcuni serpenti dosimetri per misurare i livelli di radioattività dell’aria e del terreno. I rettili sono poi stati rilasciati in natura, nei pressi della centrale. L’obiettivo è capire il tasso di contaminazione dell’area coinvolta nel 2011 da uno dei più gravi disastri nucleari della storia recente, secondo solo a Chernobyl.
I valori di radiazioni intorno alla centrale di Fukusima
Il monitoraggio, effettuato nel 2018 e pubblicato ora sulla rivista Ichthyology and Herpetology, ha coinvolto dozzine di serpenti. I ricercatori hanno fissato sul loro corpo geolocalizzatori oltre a dosimetri per rilevare i livelli di radiocesio 134 e 137 presenti sul terreno. «Questo elemento tende a legarsi al suolo e si accumula nel tessuto muscolare dei serpenti», ha spiegato al Guardian la ricercatrice Hannah Gerke alla guida del progetto. «Tuttavia ancora non capiamo quali valori risulterebbero nocivi». I rettili sono stati rilasciati in un’area distante circa 24 chilometri dalla centrale nucleare. Grazie al tempo trascorso sugli alberi e a contatto con il suolo contaminato, hanno fornito così utili biomarcatori che hanno mostrato l’esposizione alle radiazioni. I dati hanno certificato che i livelli all’interno della zona di Fukushima oggi preclusa alla vita umana sono 22 volte maggiori rispetto a quelli a essa esterni.
Il tasso di radioattività sta calando, ma non in modo uniforme
La dottoressa Gerke ha sottolineato però come i tassi di radioattività siano più bassi rispetto a quelli rilevati nei mesi immediatamente successivi all’incidente. La causa principale sta nel naturale decadimento degli agenti contaminanti nel corso del tempo. È stato anche scoperto che i livelli di radiazione variano perfino fra terreni adiacenti l’un l’altro, mostrando una diffusione non uniforme. Lo scopo dello studio attualmente non ha tenuto conto dell’impatto di tali agenti sui serpenti stessi, fattore che, come ha sottolineato Gerke, «ha bisogno di più lavoro». Il disastro di Fukushima, avvenuto nel marzo del 2011, causò la fuga di 150 mila persone. Sebbene molte oggi siano tornate nelle loro abitazioni, un’area di circa 400 chilometri quadrati è ancora considerata inabitabile.