Aumentano i laureati (anche se il numero resta inferiore a quello degli altri Paesi Ocse) ma le scarse prospettive occupazionali e la remunerazione non adeguata alle competenze acquisite spinge i nostri cervelli a lasciare l’Italia. Dal 2013 a oggi si è registrata una crescita del 41,8% dei trasferimenti per lavoro. È quanto emerge dal Referto sul sistema universitario realizzato dalla Corte dei Conti che prende in esame diversi aspetti, quali finanziamento, composizione, modalità di erogazione della didattica, offerta formativa e ranking delle università italiane (98 atenei di cui 67 statali, che comprendono 3 Scuole Superiori e 3 Istituti di alta formazione, nonché 31 università non statali, di cui 11 telematiche).
Ancora scarsi gli investimenti per l’innovazione
Scorrendo le pagine si notano non poche criticità. Gli investimenti nelle competenze tecniche, scientifiche e digitali, benché fondamentali per l’innovazione, restano scarsi; nel periodo 2016-2019 l’investimento pubblico nella ricerca appare ancora sotto la media europea; risultano poco sviluppati i programmi di istruzione e formazione professionale, le lauree professionalizzanti in edilizia e ambiente, energia e trasporti, ingegneria; mancano i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). Risultano scoperte molte cattedre nell’ambito scientifico e non è un caso se il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha riservato una corsia preferenziale alla procedura del concorso ordinario per i docenti di fisica, informatica e matematica. Tutti questi fattori, combinati tra loro, hanno una significativa incidenza sul tasso di occupazione. Va detto che anche la bassa domanda da parte di un settore produttivo caratterizzato da piccole e medie imprese penalizza diverse fasce di laureati. Il Country Report 2020 della Commissione europea mette in evidenza come “rispetto alle politiche e agli investimenti per la ricerca e l’innovazione, l’Italia ha compiuto progressi limitati non raggiungendo l’obiettivo, stabilito nel Pnr, di portare la spesa per ricerca e sviluppo (R&S) all’1,53 per cento del Pil, concordato nell’ambito della strategia Europa 2020: infatti, nonostante il trend in lento aumento dal 2008, l’Italia si posiziona al livello dell’1,41 per cento. L’investimento complessivo in ricerca e innovazione rimane largamente sotto la media europea (il finanziamento alle attività R&S del settore pubblico e di quello privato nel 2019 è stato pari, rispettivamente, al 60,8 per cento e al 58,3 per cento della media Europea per lo stesso anno)”.
Le iscrizioni all’università calano dell’11 per cento: nel 2021 ci saranno 35 mila matricole in meno
Secondo alcune stime, la riduzione dei bilanci familiari e una minore propensione agli spostamenti – a causa dei motivi sanitari – potrebbero tradursi in 35 mila iscrizioni universitarie in meno, con un calo dell’11 per cento rispetto all’anno precedente e una perdita di 46 milioni di euro di tasse d’iscrizione. Per scongiurare questa ipotesi che avrebbe effetti deleteri non solo per le casse degli atenei e dello stato ma anche per la formazione dei giovani, il ministero dell’Università e della Ricerca ha deciso di stanziare 290 milioni di euro per incrementare il sostegno finanziario degli studenti, estendere il sistema di esenzione dalle tasse (no tax area) agli studenti di famiglie con un reddito fino a 20 mila euro (attualmente 13 mila) e aumentare il numero dei potenziali beneficiari dagli attuali 300 mila a 500 mila.
Gender Gap: le laureate in Italia guadagnano in media il 30% in meno rispetto agli uomini
Ancora troppo alto il gender gap. Non è una novità, bensi un’amara conferma. La distribuzione dei redditi degli adulti laureati è diseguale tra uomini e donne, che guadagnano in media il 30 per cento in meno rispetto agli uomini, rispetto ad una media Ocse del 25 per cento; tali valori variano dal 26 per cento in meno per le donne 55-64enni, al 36 per cento in meno per le 35-44enni. Nell’ambito della collaborazione tra università e settore produttivo privato, appare positivo invece il ruolo svolto dalle strutture dedicate al trasferimento tecnologico (uffici per il trasferimento tecnologico e imprese spin off) che hanno visto un “notevole incremento della spesa per la protezione della proprietà intellettuale più che raddoppiata nel quadriennio 2016-2019, come è quasi raddoppiato il numero dei brevetti concessi riconducibile alle attività di ricerca delle università italiane, rendendo evidente il ruolo che le strutture di trasferimento tecnologico possono svolgere nell’ammodernamento e nello sviluppo economico del Paese”.