Frozen Zoo, dal Dna congelato l’occasione per salvare gli animali dall’estinzione

Fabrizio Grasso
01/04/2022

Le criobanche catalogano da anni il Dna di animali vicini all'estinzione. Uno strumento utile a riprodurre esemplari che rischiano di scomparire per sempre. E che in futuro potrebbe portare alla ricomparsa di specie già sparite dal pianeta.

Frozen Zoo, dal Dna congelato l’occasione per salvare gli animali dall’estinzione

Cambiamento climatico, riduzione dell’habitat naturale, azione dell’uomo. Le ragioni che conducono all’estinzione di animali sono molteplici, mentre le misure per contrastarla vacillano. Una nuova opzione sembra risiedere nei Frozen Zoo, criobanche animali che archiviano il Dna di numerose specie a rischio, sperando di poterlo utilizzare per impedirne la scomparsa. Vista l’attuale perdita di biodiversità, gli scienziati pensano infatti che preservare campioni di materiale genetico possa risultare cruciale per la tutela dell’ecosistema.

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Il primo Frozen Zoo nacque per caso negli Anni 70

Il primo esempio di criobanca è frutto di un caso. Nel 1972, il genetista Kurt Benirschke iniziò a raccogliere campioni di pelle da animali rari o in via di estinzione pur senza sapere di preciso cosa farsene. Decise però di creare una collezione personale a San Diego, dove lavorava come ricercatore universitario, che chiamò Frozen Zoo. «Il suo motto era “Raccogli dati anche per ragioni che ancora non conosci”», ha detto alla Cnn Oliver Ryder, uno dei primi collaboratori di Benirschke. «Sentiva di avere fra le mani una collezione in crescita che ancora non sapeva come utilizzare». Lo scienziato è morto nel 2018, ma il suo lavoro è ancora fondamentale. Il suo Frozen Zoo contiene campioni di 10500 esemplari appartenenti a 1220 specie differenti.

Ecco i Frozen zoo, banche che catalogano il Dna congelato di specie animali a rischio estinzione. In passato hanno clonato la pecora Dolly
L’interno del Frozen Zoo di San Diego (Twitter)

Dalla sua fondazione, il Frozen Zoo ha scritto pagine indelebili nella storia genetica. Nel 1996 fu infatti contribuì in modo decisivo alla clonazione della pecora Dolly, la più celebre testimonianza di creazione in laboratorio. In seguito, i genomi della criobanca hanno contribuito alla “nascita” di altri quattro animali in via di estinzione. Sono il Gaur indiano, particolare specie di bue selvatico, il Banteng, un bovino del sud-est asiatico, il cavallo Przewalski, un tempo diffuso in Mongolia, e il furetto dai piedi neri che si credeva estinto. I suoi successi hanno incoraggiato il resto del mondo, tanto che oggi vi sono diverse criobanche anche in Regno Unito. «Salvando queste risorse consentiremo non solo agli scienziati attuali, ma anche alle generazioni future di fare ogni tipo di nuova scoperta», ha dichiarato Lina Yon della Frozen Ark di Nottingham che ad oggi conserva il Dna di oltre 50 mila esemplari di 5 mila specie.

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Una sfida per il futuro: riportare in vita specie estinte

«Ci sono ancora diversi progetti irrealizzabili con i mezzi a nostra disposizione», ha dichiarato Tullis Matson di Nature’s Safe (acronimo per Save Animals from Extintion), criobanca inglese. Nei prossimi 30 anni, gli scienziati sperano di poter ottenere cellule staminali che possano essere riprogrammate per produrre sperma e uova. In questo modo sarà possibile creare un embrione da impiantare in un individuo surrogato in via di estinzione. L’ipotesi apre ovviamente all’idea di riportare in vita animali scomparsi. «Ci è stato chiesto di preservare le specie in vita», ha detto Ryder. «Non sappiamo se sarà possibile farlo con alcune già estinte».

Ecco i Frozen zoo, banche che catalogano il Dna congelato di specie animali a rischio estinzione. In passato hanno clonato la pecora Dolly
Le provette con il Dna degli animali a rischio estinzione (Twitter)

Intanto, la biodiversità continua a diminuire. Secondo un rapporto del 2020 del Wwf, negli ultimi 50 anni la Terra ha perso il 68 per cento dei suoi animali fra mammiferi, uccelli, rettili e anfibi. Per questo urge un accordo di collaborazione fra le criobanche, al fine di condividere progetti e dati. «Il compito è enorme e nessuno può farcela da solo», ha concluso Matson. «Vogliamo sviluppare una rete globale che unisca tutti gli istituti».