I fratelli Lupin sono tornati: Edmond ed Eduard Trushi, due fratelli albanesi già noti alle forze dell’ordine, avrebbero colpito nella zona di Udine. Immediato l’avvertimento alla popolazione lanciato dai carabinieri: «Se li vedete chiamate il 112». Ciò che lascia aperta la problematica sull’arresto dei due fratelli è la difficoltà a condannarli: grazie al loro Dna che dalle analisi forensi non dà mai risultati, è difficilissimo stabilire chi dei due lasci tracce biologiche sui luoghi depredati, in quanto non agiscono mai in coppia, riuscendo sempre a cavarsela.

Il ritorno dei fratelli Lupin a Udine
Edmond ed Eduard Trushi, due gemelli 38enni di origine albanese, agiscono con una tecnica divenuta la loro firma: la tecnica del foro nell’infisso, una procedura per la quale sono due autentici assi. La modalità operativa è semplice, con un trapano fanno un buco nell’infisso dove vanno a infilare un filo di ferro con il quale aprono la porta o la finestra, per poi intrufolarsi in casa indisturbati. Sono centinaia i colpi messi a segno con questa tecnica, tra cui la maggior parte nel Nord-Est, con diversi furti segnalati sia in Lombardia che Piemonte, anche se si segnalano casi nel Centro Italia.
La difficoltà nel riconoscere il DNA
Distinguere i due fratelli è praticamente impossibile: vestono allo stesso modo, portano i capelli nello stesso modo, hanno addirittura gli stessi e identici tatuaggi. E’ questo il motivo principale che impedisce di attribuire loro dei reati. Se è vero che l’unico aiuto potrebbe arrivare al Dna, è altrettanto vero che gli esami non hanno mai dato un risultato certo. Tre le assoluzioni che li hanno riguardati, con un’impunità indiscussa e ripetuta che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di «Gemelli Lupin», proprio come l’inafferrabile ladro gentiluomo creato da Maurice Leblanc nel 1905.
I carabinieri, nel 2014, trovarono del Dna su un’auto rubata, poi abbandonata a Sacile dopo un lungo inseguimento. Dalle tracce rilevate, era emerso che si trattava di Eduard Trushi, ma, allo stesso tempo, una volta terminato il processo, venne assolto «oltre ogni ragionevole dubbio». Fu infatti impossibile stabilire con certezza chi dei due fosse al volante. Nonostante gli esiti del Dna, i due fratelli non sono comunque «intoccabili», considerato che, nel 2020, vennero condannati a 2 anni e due mesi di detenzione (a Mantova), mentre a Pordenone subirono una condanna in primo grado a 6 anni e 10 mesi (divenuti in appello a 5 anni e 5 mesi per 41) grazie a un particolare esame delle impronte di ultima generazione.