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Francia-Germania, perché il traballante asse europeo non deve rompersi

Se l’asse franco-tedesco, traballante su energia e difesa, dovesse spaccarsi, l’Europa già debole ripiomberebbe nella confusione del passato. Uno scenario su cui Mosca naturalmente scommette. E che quindi va evitato. L’analisi.

18 Dicembre 2022 17:29 Mario Margiocco
Francia-Germania, perché il traballante asse europeo non deve rompersi

La grande unità imposta all’Europa e al fronte atlantico dal pauroso attacco russo all’Ucraina tiene, e delude Mosca, che sempre ha descritto il fronte “capitalista” (quando ancora usava solo questo termine) come una tigre di carta minata dalle proprie “contraddizioni”. Sono esplose prima le contraddizioni del campo sovietico, come noto, con buona pace di intere biblioteche di Marx-leninismo. Ma sotto l’ombrello unitario d’Occidente, per la grande maggioranza degli occidentali rassicurante, non è che tutto vada liscio, e il cruciale rapporto tra Francia e Germania, al momento traballante, sta a dimostrarlo.

Se venisse a mancare l’affinità franco-tedesca l’Europa ripiomberebbe nel passato

È la tormentata storia europea che va almeno da Napoleone I al 1945 a fare di Parigi e Berlino due inevitabili comprimari sulla scena dell’Unione e dell’intera Europa, assai più del fatto che sono le Capitali dei due Paesi economicamente più importanti, e quelle con maggiore tradizione strategica e diplomatica, lontana, ma non ininfluente. Londra sarebbe del gruppo, se non avesse deciso di fare da sé, vedremo col tempo con che fortuna. Ma è la storia militare a pesare e a pesare più dell’economia perché dal lungo scontro franco-tedesco, simbolo la lunga frontiera del Reno, sono derivate le guerre apocalittiche che hanno fatto dell’Europa, prima centro del mondo, una regione-cliente degli Stati Uniti, cosa non esaltante ma con cui si può convivere, e soprattutto, un’area non credibile come auto-difesa militare e strategica rispetto all’ingombrante e da sempre preoccupante vicino nucleare russo. Risultato: siamo benestanti, grossomodo, ma decisamente insicuri, protetti quindi da Washington, divisi in troppi Parlamenti, burocrazie e Stati Maggiori che Bruxelles riesce solo saltuariamente a coordinare. Se anche viene a mancare la capacità franco-tedesca di parlare su temi cruciali con una solo lingua rischiamo di tornare nel dedalo del nostro confuso passato.

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Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz (Getty Images).

I segnali della freddezza tra Parigi e Berlino

I segnali esterni della freddezza franco-tedesca del momento sono prima di tutto il rinvio sine die dell’ultima riunione governativa congiunta del 26 ottobre scorso, fissata a Fontainebleu, per discutere tra l’altro di difesa e di energia, i due terreni di maggior contrasto al momento. Questi incontri si tengono una volta l’anno dal 2003 e quello di ottobre è stato il terzo rinvio, e il più polemico. Un segnale analogo viene dalla scarsa enfasi che il Cancelliere Olaf Scholz ha dato al rapporto con Parigi in tre importanti discorsi. Quello al Bundestag del 3 marzo 2022 quando decretò la fine di un’epoca – Zeitenwende, cambiamento epocale – e la necessità per la Germania e per l’Europa di far fronte alla realtà imposta dall’attacco russo a Kyiv. Il discorso all’Università Carlo di Praga del 29 agosto scorso, una risposta tedesca, articolata e tardiva ma Angela Merkel si teneva lontana dalle grandi visioni, al discorso sul futuro dell’Europa tenuto da Emmanuel Macron alla Sorbona nel settembre 2017. Infine l’intervento alla Berlin Security Conference, il 2 dicembre scorso, chiuso con una nota molto tedesca di nostalgia per quella che era stata la fruttuosa (per gli interessi tedeschi e anche per i nostri), accettabile convivenza con la Russia del passato: «Potremmo tornare a un ordine di pace che ha funzionato e renderlo di nuovo sicuro se ci sarà in Russia la volontà di tornare a questo ordine di pace». Applausi scroscianti, ma per ora ingenui.

Francia-Germania, perché il traballante asse europeo non deve rompersi
Il presidente francese Emmanuel Macron (Getty Images).

Gli sponsor della presenza russa nel contesto europeo: da De Gaulle a Brandt

Francia e Germania sono i due Paesi europei che più hanno cercato di garantire la presenza russa nel contesto europeo, basti pensare a “l’Europa dall’Atlantico agli Urali” di Charles De Gaulle e alla Ostpolitik di Willy Brandt e successori, dal 69-70. Sono anche i due Paesi che l’aggressività di Putin ha maggiormente spiazzato. La Germania cerca adesso di recuperare molto rapidamente l’incredibile disattenzione con cui ha malgestito i temi della sicurezza propria ed europea e, problema speculare, l’altrettanto incredibile ingenuità con cui ha legato il proprio futuro energetico agli approvvigionamenti russi. Ha ignorato così la realtà di una Russia che non ha mai nascosto dal 1919, se non da prima, l’ambizione di condizionare l’intera Europa, un tempo sulla spinta della inarrestabile rivoluzione bolscevica dei popoli, e oggi su quella delle dottrine putiniane (ma sono molto più vecchie di lui) sulla inevitabile decadenza liberaldemocratica dell’Occidente e sulla superiorità “morale” dell’Oriente.

Francia-Germania, perché il traballante asse europeo non deve rompersi
Vladimir Putin (Getty Images)

La scommessa russa contro il tandem franco-tedesco

Tutto questo influisce sulla storica divisione dei ruoli che da quando la futura Unione Europea ha fatto i primi passi, dal 1949, regola il rapporto Parigi-Bonn e poi Parigi-Berlino. Alla Francia agricoltura e difesa, alla Germania industria. Agli altri, ruoli concentrici rispetto a questo nocciolo duro. L’industria tedesca vede ora ingenti investimenti militari ad alta tecnologia, difesa aerea e missilistica, nuovi corazzati, e vuole dire la sua. Si aprono per i tedeschi interessanti mercati, soprattutto nell’Europa dell’Est e del Nord dove più forte è stato l’impatto psicologico dell’attacco russo, e la collaborazione con la Francia che soprattutto in materia aerea e missilistica ha un primato da difendere è meno interessante. E lo stesso accade nell’energia, dove la Francia difende la via nucleare all’idrogeno, e la Germania cerca alternative. Probabilmente non sono contrasti insanabili. Perché non è la prima volta che il rapporto diventa difficile e perché la Russia comunque continuerà a rendere necessaria un’intesa. Alexei Chikharev del Valdai Club, una specie di versione russa in scala minore del New York Council on Foreign Relations e creatura del Cremlino, si chiedeva già a metà novembre se il tandem franco-tedesco «riuscirà a sopravvivere». Ammette che non siamo alla rottura, ma dice che Parigi e Berlino dovranno cercare «altri interlocutori». Insomma, devono cambiare, non mediare per salvaguardare il ruolo in Europa. È una speranza russa. E sarebbe quindi un guaio se si avverasse.

Tag:Crisi ucraina
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