Fish & chips, nel Regno Unito un locale su tre rischia di chiudere per la guerra in Ucraina

Fabrizio Grasso
17/05/2022

La guerra in Ucraina colpisce il fish&chips. Tra sanzioni alla Russia, rincari e blocchi nel Regno Unito un ristorante su tre rischia di chiudere.

Fish & chips, nel Regno Unito un locale su tre rischia di chiudere per la guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina mette in ginocchio il fish & chips britannico. Nel Regno Unito, un ristorante su tre rischia di chiudere per via dell’impennata di prezzi e della scarsità di materie prime a seguito dell’invasione russa. Il mercato infatti dipende da Kyiv per l’olio di girasole e da Mosca per il merluzzo, sempre più costosi e difficili da reperire dopo lo scoppio del conflitto. L’allarme della National Federation of Fish Friers parla chiaro: «Siamo di fronte alla peggior crisi della storia».

Perché la guerra in Ucraina mette in crisi il fish & chips del Regno Unito

In Regno Unito ci sono circa 10 mila ristoranti che offrono quotidianamente fish & chips. Più del 10 per cento è rappresentato dalla National Federation of Fish Friers presienduta da Andrew Crook. «I prezzi erano in aumento già alla fine dello scorso anno», ha detto Cook alla Cnn. «I costi sono però saliti vertiginosamente a febbraio, data di inizio dell’invasione russa in Ucraina». Il mercato del fish & chips britannico infatti è fortemente dipendente da Kyiv e Mosca per quanto riguarda le materie prime. Il 40 per cento del merluzzo e dell’eglefino (o asinello) proviene dalle acque russe, ma i dazi imposti da Londra alla Russia rendono le forniture rare e costose. In netto rialzo anche il pesce islandese e norvegese, valida alternativa a quello di Mosca, oggi disponibile a 320 euro invece dei 165 di 12 mesi fa.

Olio dall’Ucraina e pesce dalla Russia. Questi gli ingredienti base del fish & chips britannico, dove un negozio su tre rischia di chiudere per prezzi elevati e scarsità di materie prime.
Le porzioni di fish & chips disponibili in tutto il Regno Unito (Getty)

Non va meglio per l’olio di girasole necessario per la frittura, la cui metà giunge dall’Ucraina. Le aziende pagano l’83 per cento in più rispetto a inizio marzo, pertanto hanno pensato di ripiegare su alternative equivalenti come l’olio di palma. Il prezzo è però anche in questo caso raddoppiato e l’Indonesia, principale esportatore, ha deciso di limitare la vendita per rimediare a carenze interne. In rialzo anche i prezzi per il fertilizzante necessario alla coltivazione delle patate, anch’esso prodotto in Russia, e delle bollette energetiche. Ciò si traduce in costi esorbitanti per i ristoranti, che hanno visto nelle ultime settimane un calo dei guadagni.

Il rischio è di dover aumentare i prezzi del prodotto e perdere clienti

Per cercare di porre un rimedio, i gestori dei ristoranti hanno aumentato i prezzi. Un anno fa, una porzione di fish & chips costava mediamente 7 sterline (poco più di 8 euro), mentre oggi si può arrivare a spenderne 8,50 (circa 10 euro). «Parliamo di un aumento del 21 per cento», ha proseguito Crook. «Il cliente però si aspetta che il fish & chips resti sempre economico». La pietanza infatti affonda le sue radici nella storia del Regno Unito, dove ha sfamato le classi lavoratrici per generazioni. Crook ha continuato parlando di un forte rischio di finire fuori mercato, andando così a perdere man mano i clienti abituali. «Molte persone che venivano ogni venerdì hanno già fatto un passo indietro», ha concluso.

Olio dall’Ucraina e pesce dalla Russia. Questi gli ingredienti base del fish & chips britannico, dove un negozio su tre rischia di chiudere per prezzi elevati e scarsità di materie prime.
Il fish & chips è uno dei piatti più economici e popolari della cucina britannica (Getty)

I ristoranti di fish & chips rappresentano però solo una fetta della crisi nel Regno Unito. Un sondaggio della Federal of Small Business ha certificato che più di 500 mila piccole imprese britanniche prevede di vendere o chiudere entro fine anno. A peggiorare la situazione c’è anche l’aumento dell’inflazione annuale dei prezzi al consumo, che oggi ha raggiunto il 7 per cento. Si tratta del dato più alto negli ultimi 30 anni, ma gli analisti prevedono possa anche toccare il 10 per cento prima del 2023.