Chissà se il generale Francesco Paolo Figliuolo sa che Santa Rita è generalmente considerata la patrona delle cause perse o impossibili. No, perché vorremmo capire se ci debba preoccupare il fatto che il commissario straordinario per l’emergenza Covid, il primo luglio scorso, abbia sentito il bisogno di affidarsi alla santa di Cascia contro il virus che stiamo tutti combattendo. Dobbiamo dedurne qualcosa di grave che contraddice il diffuso ottimismo circa la ormai ben visibile luce in fondo al tunnel della pandemia?
Tuttavia, il plurimedagliato generale sa forse che Santa Rita, tra gli innumerevoli miracoli a lei attribuiti, ha compiuto anche quello di salvare una bambina, sua devota, dalla peste che colpì l’Italia nel Seicento. Da morbo a morbo, ecco quindi il parallelismo che potrebbe averlo ispirato nel suo gesto. In ogni caso, vedere la santa umbra tirata dentro il terreno della scienza e della statistica, in mezzo ai mille numeri del Covid e agli sforzi dei ricercatori sui vaccini, fa l’effetto un po’ straniante di una specie di realismo magico in tuta mimetica.
Figliuolo si appella a Santa Rita per arginare la variante Delta
La possibilità che Santa Rita possa in qualche modo arginare la variante Delta è comunque un fatto di fede su cui non è opportuno dibattere. Ma di sicuro l’abbraccio tra religione e politica – a parte la recente interferenza del Vaticano sul Ddl Zan che violerebbe il Concordato – risale alla notte dei tempi e la propaganda non ha certo tardato a mettersi in mezzo. I giorni nostri non sfuggono alla regola e gli esponenti istituzionali dell’italica gens continuano a ribaltare il detto “scherza con i fanti e lascia stare i santi”. Sì, perché i santi e i simboli religiosi non li lasciano in pace affatto.
Salvini e il rosario seriale
Il campione del genere rimane naturalmente il leader della Lega, Matteo Salvini, che traffica con rosari e crocifissi in quantità tali da poterli smerciare sulle spiagge italiane. Li ostende e ostenta di fronte alle folle acclamanti, li bacia, soprattutto in campagna elettorale, ma non manca di compiere pellegrinaggi devoti, da Fatima a Medjugorje, per affidare alla Madonna di turno le sorti del suo amato popolo. Chissà se prossimamente si recherà anche a Lourdes per provare a frenare l’emorragia di consensi ed evitare il sorpasso di Fratelli d’Italia. Nel caso dovrà vedersela con Sant’Agata patrona di Catania – dove è sindaco Salvo Pogliese proprio di FdI – a cui è particolarmente legata Giorgia Meloni.
Comincia oggi a Catania la tradizionale festa di Sant’Agata, ricorrenza a cui sono molto legata e che ricorda il martirio della Santa patrona della città. Come direbbero i catanesi "semu tutti devoti tutti". Viva Sant'Agata! pic.twitter.com/OAyNq6h8dK
— Giorgia Meloni 🇮🇹 ن (@GiorgiaMeloni) February 3, 2020
In ogni caso, l’ex ministro dell’Interno, devoto anche a San Giovanni Paolo II, ha tenuto a notificarci di aver pregato per il papa in occasione dell’intervento chirurgico per stenosi diverticolare subito due giorni fa dal Pontefice al Gemelli. Quando, al tramonto del governo gialloverde, l’allora premier Giuseppe Conte gli rimproverò una eccessiva disinvoltura con i simboli sacri, il Capitano rispose dallo scranno parlamentare: «Sono orgoglioso del fatto che credo, non ho chiesto mai per me la protezione, ma la protezione del Cuore Immacolato di Maria per il popolo italiano la chiedo finché campo». Certo, si potrebbe stigmatizzare l’approccio al divino un pelo troppo pop e disinvolto. Una postura che, calando la devozione su un terreno di propaganda, pone la fede a livello di credenza popolare, con una sfumatura che rischia di farla sconfinare nella superstizione. Ma è storia antica, basti pensare all’armamentario di argomenti elettorali, persino minacciosi, utilizzato dalla Democrazia cristiana durante la campagna elettorale del 1948. Con vette poetiche del tipo: «Sta sicuro che ad Alcide/la Madonna gli sorride/che votar per lui ti dice/la potente Ausiliatrice».
Conte tra Padre Pio e San Francesco
La stampa cattolica ha variamente stigmatizzato, nel caso di Salvini, «l’uso improprio dei simboli religiosi, ridotti a meri oggetti, quasi dei portafortuna». Eppure anche Conte, suo fustigatore nel 2019, non manca di farci conoscere i propri riferimenti devozionali, seppur con più aplomb. Ecco che spunta fuori San Francesco, figura che dopotutto pone l’avvocato di Volturara in linea con la forza politica che ambirebbe a guidare, dato che il M5s ha simbolicamente fissato la sua data di nascita il 4 ottobre, giorno in cui si celebra il Patrono d’Italia. Ma quando l’ex premier si affida al divino non dimentica le radici pugliesi ed ecco spuntar fuori San Padre Pio, icona di una fede che più pop non potrebbe essere. D’altronde, a un certo punto avevano fatto credere a Conte di essere il novello Aldo Moro e in molti conoscono la devozione e le relazioni personali che lo statista di Maglie aveva con il popolare frate di Pietrelcina, rapporto non scevro di un qualche alone di mistero.
I santi nel governo Draghi
Nel governo Draghi, invece, un po’ tutti i ministri esibiscono culti alquanto variegati. Così, se lo stesso San Pio ispira le preghiere della titolare dell’Interno, Luciana Lamorgese, il responsabile dell’Agricoltura Stefano Patuanelli si affida a San Giusto, patrono della sua Trieste. Stessa logica per il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ringrazia San Bassiano di Lodi e per il titolare della Salute, Roberto Speranza, che probabilmente affida le sue orazioni contro il Covid a San Gerardo da Porta, protettore della città di Potenza. Il ministro alla Cultura, Dario Franceschini, si rivolge invece a San Giorgio e il suo collega di partito Enzo Amendola, sottosegretario per gli Affari Ue, continua ad avere l’Europa come faro: non a caso, alza gli occhi al cielo cercando il sostegno di San Benedetto, patrono d’Europa (con i santi Cirillo e Metodio, santa Caterina, santa Teresa Benedetta della Croce e santa Brigida). L’elenco potrebbe continuare, con San Francesco che svetta sugli altri in termini di “adesioni” politiche. Ma una menzione particolare va al ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La biografia ne giustifica una devozione spiccata per il martire San Felice in Pincis, protettore della sua Pomigliano d’Arco, però tutti ricordano il bacio del settembre 2017 alla teca con le reliquie di San Gennaro, a Napoli. Il miracolo della liquefazione era appena avvenuto e Di Maio confessò una «forte emozione». Chissà se la mano benevola del santo lo aiuterà pure nell’impresa di evitare la liquefazione del Movimento 5 stelle.
I politici in odore di santità
La maggior parte dei politici, comunque, non può che limitarsi a invocare (o usare) i santi, avvezza com’è per il resto a trafficare con le umane miserie. È ristrettissima invece la schiera di quelli, tra loro, che possono aspirare alla santità. Ci è vicino Don Luigi Sturzo, di cui è ormai ben avviata la causa di beatificazione. Papa Francesco, nel frattempo, ha da poco dichiarato “venerabile” Robert Schuman, lo statista francese tra i padri dell’Europa e primo presidente dell’Europarlamento. Stessa sorte per Giuseppe Lazzati, componente dell’Assemblea costituente e deputato nella I legislatura repubblicana. Alcide De Gasperi, invece, è a oggi “servo di Dio”, anche se la sua causa di beatificazione, partita nel 1993, ha conosciuto non pochi intoppi negli anni, così come quella di Aldo Moro (tra mille polemiche e veleni). Infine c’è il grande esponente della Dc, il siciliano Giorgio La Pira, indimenticato sindaco di Firenze per un decennio, anch’egli ben indirizzato verso la meta della santità. Tutte figure di enorme spessore da cui deriva una lezione: il raccoglimento in preghiera di solito mal si concilia con il mojito.