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Le golpe dei padri

Saif al-Islam al-Gheddafi, figlio del Rais, ha confermato che correrà alle presidenziali libiche. Da Marcos Junior a Teodorin Nguema Obiang chi sono gli eredi dei dittatori scesi in campo.

15 Novembre 2021 12:58 Giovanni Sofia
Da Saif al-Islam al-Gheddafi in Libia a Ferdinand Marcos nelle Filippine: chi sono i figli dei dittatori in politica

L’intenzione di rientrare nell’agone politico non è una novità. L’Idea Saif al-Islam al-Gheddafi l’aveva paventata in piena estate, nel corso di un’intervista al New York Times. Dopo anni di silenzio, la ricomparsa inevitabilmente fece scalpore. Le parole, se possibile, ancora di più. «In tanti hanno violentato questo Paese, ora in ginocchio. Non ci sono soldi né sicurezza, non c’è vita. Esportiamo petrolio e gas in Italia, ma qui manca la benzina e abbiamo continui blackout. È un fiasco». All’epoca aveva rimesso in piedi il Movimento Popolare Nazionale Libico, partito fondato da alcuni lealisti del padre e, senza mezzi termini dava la colpa del disastro nordafricano «a Obama». Oggi, ha confermato la Commissione elettorale, si candiderà alle presidenziali in programma sotto Natale, il prossimo 24 dicembre. Figlio del Rais, 49enne, nel 2015 venne condannato a morte, salvo poi essere scarcerato. Il tribunale nazionale lo aveva ritenuto responsabile di diversi crimini durante la rivoluzione di quattro anni prima, quella che sfociò nella destituzione e nella successiva uccisione del padre. A renderlo nuovamente un uomo libero però arrivò l’amnistia del governo di Tobruch. Così adesso si ritrova lì, pronto a giocarsi le sue carte in una delle partite più delicate degli ultimi anni.

Presidenza delle Filippine, in corsa anche il figlio del dittatore Ferdinand Marcos

Figlio d’arte con l’ambizione di emulare le gesta dei capofamiglia. Il copione recitato da Saif al-Islam al-Gheddafi è in realtà solo l’ultimo di una lista piuttosto lunga, capace di spaziare dal Perù alle Filippine passando per l’Africa. Della corsa, per certi versi folcloristica, alla successione a Duterte si è parlato molto. Manila vive col fiato sospeso la volata verso presidenza, il cui traguardo è fissato per il 2022. A contendersi la poltrona, tra gli altri, il pugile Manny Pacquiao, l’attore di pellicole erotiche Francisco Domagoso, sul palco Moreno, e, soprattutto Marcos Junior. Bongbong, come è soprannominato, è secondogenito, e unico erede maschio, del dittatore Ferdinand Marcos, che ha insanguinato l’arcipelago per oltre due decenni, fino alla deposizione, effetto di un’insurrezione popolare nel 1986. Originario della Capitale, dove è nato nel 1957, oggi il figlio chiede ai cittadini di «unirsi a lui nella causa più nobile», promettendo l’antidoto per la ripresa post Covid. Intanto, giusto per non destare polemica, ha comunicato l’ingresso nella corsa presidenziale il 12 settembre, giorno in cui il padre – 49 anni fa – varò la legge marziale. È stata l’ennesima occasione per tirarsi addosso le critiche degli attivisti per il rispetto dei diritti umani, «inorriditi» dalla possibilità di dover fare i conti un nuovo Marcos. Che, si augurano, non avrà i modi del padre, ma di certo ne ha ereditato i soldi. Circa dieci miliardi, un patrimonio monstre, costruito soprattutto nel lungo periodo al potere.

Sara Duterte, figlia di Rodrigo e sindaca di Davao che punta alla vicepresidenza delle Filippine

In un’accoppiata formidabile, nel ruolo di vicepresidente, si presenta Sara Duterte, figlia dell’attuale capo di Stato Rodrigo e sindaca di Davao. Prima donna e cittadina più giovane ad aver mai rivestito la carica, è pronta a lasciare la poltrona per una più prestigiosa. Sarà stato il fortissimo consenso dei sondaggi, dove risulta in testa, o l’irrefrenabile voglia di scalare i gradini del potere, la candidatura stride con l’atteggiamento tenuto nei mesi scorsi, quando a più riprese aveva scongiurato l’ipotesi. Eppure già allora, agli occhi più attenti, un indizio era emerso. La compilazione dei documenti per la rielezione a sindaco, infatti, le consentiva di beneficiare di una proroga e di poterli sostituire con quelli relativi ad altre candidature fino al 15 novembre. Detto fatto e sul filo di lana, eccola a battagliare per la vicepresidenza, che nel Paese è sottoposta a elezioni separate. Un vero e proprio deja vù: identico stratagemma fu usato dal genitore nel 2016.

Scandali e corruzione, la Guinea equatoriale della dinastia Obiang

Sulle orme del predecessore, c’è pure Teodorin Nguema Obiang. Il padre, con pugno di ferro, governa la Guinea Equatoriale dal 1979, anno in cui rimosse con un golpe lo zio Francisco Macias Nguema. Il figlio, 53 anni, riveste la carica di vicepresidente e intanto studia da successore. Appunti presi nel migliore dei modi. Così mentre il 60 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, Teodorin ha rimediato una condanna dal tribunale di Parigi nel  2017 per riciclaggio, abuso di beni sociali e fiducia, appropriazione indebita e corruzione. In sostanza, avrebbe sottratto 173 milioni di dollari dalle casse dello Stato per finanziare il suo sontuoso stile di vita. Non è tutto perché all’aeroporto di San Paolo, in Brasile, appena un anno più tardi, l’erede alla presidenza fu fermato con un milione e mezzo di dollari in contanti e orologi per quindici nel bagagliaio. «I soldi servivano per pagare delle cure, gli accessori erano a uso personale». Spiegò una fonte diplomatica guineana al Guardian, lasciando più perplessi che persuasi.

Keiko Fujimori, solo sconfitte per l’erede dell’ex presidente peruviano Alberto

Chiude la rassegna chi, malgrado gli sforzi, a emulare i genitori proprio non ci riesce. Keiko Fujimori, negli scorsi mesi ha incassato la terza batosta consecutiva alle presidenziali peruviane, battuta, seppur di un soffio, dall’ex insegnante e sindacalista Pedro Castillo. Alberto, il padre, fu presidente dello Stato andino per dieci anni, dal 1990 al 2000. Keiko, invece, stavolta di perdere non se lo aspettava, sebbene avesse ancora da risolvere i fastidi legati a un’indagine per riciclaggio e finanziamenti illeciti, ricevuti dalla multinazionale Odebrecht per la campagna. «Mi candido per evitare che la forza comunista prenda il potere in Perù», disse e in molti sembrarono sostenerla. Persino l’ex Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, costretto a lasciare il Paese durante il soggiorno al governo di Fujimori senior. «È il male minore», sostenne l’intellettuale, restando inascoltato. Adesso alla donna non rimane che risolvere i problemi con la giustizia. Aspetto in cui l’imitazione del padre è riuscita decisamente meglio.

En el tema de Camisea no hay ninguna contradicción. No hay que ser ingenuos. Castillo tiene el doble juego perverso de la izquierda. La premier Mirtha Vásquez es solo una pieza más en el juego político del gobierno. NO PUEDE HABER CONFIANZA FRENTE A LA MENTIRA. (Video) pic.twitter.com/4xDuL0xdNS

— Keiko Fujimori (@KeikoFujimori) October 27, 2021

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