Come ha fatto Fight Impunity ad ammaliare (quasi) tutti? Come si era creata tutta quella credibilità, svanita in un colpo solo dopo le accuse di corruzione? C’era qualcuno che sapeva o c’è stato solo un grande inganno? Sono le domande che orbitano attorno all’organizzazione no profit finita al centro del cosiddetto Qatargate, che sta sconvolgendo il parlamento europeo e non solo. L’Ong è stata fondata nel 2019 da Pier Antonio Panzeri, l’ex eurodeputato del gruppo Socialisti e democratici e principale accusato, per promuovere la causa dei diritti umani e consegnare i criminali alla giustizia. Ma le (presunte) condotte criminali alla fine potrebbero rivelarsi altre. E pensare che Fight Impunity era una delle associazioni meglio inserite nelle dinamiche politiche a Bruxelles, con le giuste entrature e qualche aggancio con profili pesanti. Non a caso vantava un ufficio a pochi metri dalla residenza dell’ambasciatore britannico, oltre allo specchietto per le allodole che ha abbagliato molti: una manciata di nomi altisonanti presenti nei suoi organigrammi. Ma che si sono subito affrettati a prendere le distanze da Panzeri, dopo lo scoppio dello scandalo. E persino la targhetta con il nome dell’organizzazione è stata rimossa dalla porta della sede.
Sequestrati 1,5 milioni di euro in contanti dopo almeno 20 irruzioni
Tra i collaboratori di Fight Impunity c’era anche Francesco Giorgi, che tra le altre cose è il compagno della greca Eva Kaili, ex vicepresidente dell’europarlamento: considerati una delle coppie più glamour tra Strasburgo e Bruxelles, sono finiti entrambi in stato di fermo. Niccolò Figà-Talamanca è invece il segretario generale dell’Ong Non c’è pace senza giustizia, che condivide l’indirizzo dell’ufficio in rue Ducale con Fight Impunity: ora è stato rilasciato con un braccialetto elettronico, come hanno spiegato i pubblici ministeri. In tutto, la polizia ha sequestrato 1,5 milioni di euro in contanti dopo almeno 20 irruzioni dentro case, uffici e camere d’albergo in Belgio, Francia e Italia, nell’ambito della maxi inchiesta sulla presunta corruzione e il riciclaggio di denaro, che avrebbe coinvolto rappresentanti politici del Qatar, impegnati, secondo l’accusa, a elargire soldi per garantirsi una bella ripulita d’immagine del Paese, anche e soprattutto in vista del Mondiale 2022 ospitato e appena terminato.

Luca Visentini e quella donazione da 50 mila euro
Lunedì, un altro degli arrestati nell’ambito dell’indagine, il segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati Luca Visentini, ha ammesso di aver ricevuto, senza farsi troppe domande, una donazione di 50 mila euro per la sua scalata a segretario, e che in particolare servivano a «rimborsare alcuni dei costi della mia campagna per il Congresso della Confederazione». Ora è stato rilasciato, dopo aver risposto a ogni domanda e respinto le accuse di corruzione. «Non mi è stato chiesto, né ho chiesto nulla in cambio dopo aver preso quei soldi. E non mi è stata posta alcuna condizione per questa donazione».
Il gioco della reputazione e le mancanze burocratiche
Quando è stata fondata Fight Impunity, anche Gianfranco Dell’Alba, un altro ex eurodeputato, ha accettato di essere co-fondatore dell’organizzazione di Panzeri, per aiutare quella che pensava essere una buona causa. Come altri coinvolti nello scandalo, Dell’Alba insiste nel ribadire di essere stato imbrogliato. La Ong insomma gli era sembrata «normale», ha raccontato a Politico. «Quello che è successo dopo, per me, è stato un enorme shock e una grossa sorpresa». Panzeri del resto era stato capace di fare leva sulla reputazione di alti esponenti dell’Unione europea, che ha convinto a mettere la faccia, e non solo quella, sul suo progetto. Molti adesso dicono di non aver avuto ruoli operativi e di non aver mai sentito parlare dei due Paesi protagonisti della presunta corruzione: Qatar e Marocco. Dietro le quinte l’organizzazione no profit non operava in modo normale. La legge belga impone per esempio di presentare ogni anno i conti. Se trascorrono tre anni senza alcuna documentazione, la società può essere liquidata. E secondo il tribunale la Fight Impunity «non ha mai aperto un conto». Oltre a non essere presente nemmeno nel registro per la trasparenza del parlamento europeo, che richiede informazioni alle Ong che vogliono svolgere attività.

Non solo figurine: per Avramopoulos anche un compenso di 60 mila euro
Ad attrarre molti è stato il livello delle altre persone coinvolte nell’Ong. Il comitato onorario comprendeva l’ex capo della politica estera dell’Ue Federica Mogherini, l’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve e l’ex commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos. Ora si sono tutti dimessi in seguito agli arresti, che non li hanno riguardati direttamente. Avramopoulos ha spiegato di essere stato pagato 60 mila euro tra febbraio 2021 e febbraio 2022 da Fight Impunity. Un altro pezzo da 90 presente nell’organigramma era Emma Bonino, storica leader Radicale ed ex ministro degli Esteri dell’Italia. Dell’Alba e Bonino sono anche l’anello di congiunzione tra le due organizzazioni con sede in Rue Ducale 41 a Bruxelles: Fight Impunity e Non c’è pace senza giustizia.

Bonino si dichiara estranea e non si ricorda di Panzeri
Dell’Alba è stato eletto al parlamento europeo da candidato nella “lista Emma Bonino” ed è stato il suo capo di gabinetto quando la Radicale è stata nominata ministra per le Politiche europee dal 2006 al 2008. Ha ricoperto il ruolo di segretario generale di Non c’è pace senza giustizia dal 1998 al 2009. L’Ong è stata fondata dalla Bonino, che anche secondo Dell’Alba è «completamente estranea a questa storia». Parlando di Panzeri in una recente intervista dopo lo scoppio del Qatargate, la stessa Bonino ha detto: «Non lo ricordo, forse l’ho incontrato qualche volta quando ero all’europarlamento». Diverse persone che si sono avvicinate a Fight Impunity hanno riconosciuto di essersi fidate di Panzeri per l’alto profilo delle personalità politiche che gli giravano attorno. «Quando abbiamo lanciato questa iniziativa, Panzeri mi ha accennato al fatto che c’erano grossi nomi tra i membri del comitato consultivo», ha detto Dell’Alba a Politico. «Credevo di essere in buona compagnia». In molti ci sono cascati.