Dopo due annate di resistenza e adattamento, l’Italia dei festival musicali estivi riaccende i motori. La piena capienza dei luoghi di spettacolo, al chiuso o all’aperto, è stata da tempo riconquistata; all’aperto l’obbligo della mascherina non esiste più, negli spazi al chiuso dal 15 giugno la protezione è solo raccomandata. La situazione, da questo punto di vista, assomiglia a quella dell’estate 2019, l’ultima “regolare”. Poi, si tratterà di vedere quanto gli appassionati “stabili” e occasionali torneranno alle vecchie abitudini, fra crisi economica incombente o conclamata e sviluppi della sciagurata guerra di Putin. Ma le indicazioni sull’andamento del turismo, da sempre serbatoio principale del pubblico delle manifestazioni estive, sono positive.
All’Arena va in scena la prudenza con le regie di Franco Zeffirelli
Se il calendario è affollato come una volta, tuttavia, la programmazione appare dominata da una certa prudenza, forse inevitabile, da scelte in qualche caso francamente conservative. È il caso del festival operistico all’Arena di Verona, il più antico d’Italia, fondato nel 1913 e giunto all’edizione n. 99, al via il 17 giugno. Magari la sovrintendente Cecilia Gasdia sta già pensando all’edizione n. 100, sta di fatto che quest’anno non ci sarà nessuna nuova produzione. Non accadeva dalla grande crisi della Fondazione Arena, a metà del decennio scorso. Solo riprese, dunque: quasi tutti spettacoli museali e segnati dal tempo, per quanto di firma e non poco costosi da riallestire. La superstar, come da un quarto di secolo a questa parte, è Franco Zeffirelli, il celebre regista scomparso nel giugno 2019 all’età di 96 anni. Inaugurazione con la Carmen che fu la sua prima presenza in Arena, 27 anni fa; poi l’Aida con piramide d’oro, spettacolo che ha 20 anni giusti, regia fra le sue meno convincenti; e ancora la Turandot che risale al 2010 e infine La Traviata postuma, portata al debutto pochi giorni dopo la sua scomparsa. Quasi eguagliato l’exploit del 2010, quando tutti cinque i titoli del festival furono zeffirelliani. Unico titolo che si distacca dal cliché kolossal e sempre sull’orlo del kitsch del regista fiorentino, il Nabucco secondo Arnaud Bernard, produzione del 2017: la storia è ambientata dentro e fuori dalla Scala, ricostruita in scena, durante le Cinque Giornate del marzo 1848 a Milano.

Il confronto artistico vocale tra l’ucraina Monastyrska e la russa Netrebko
Se per gli spettacoli si punta sulla polvere di allestimenti che hanno fatto il loro tempo, altro discorso per i cast vocali, che promettono nomi di spicco e anche intriganti confronti. Disegnando una stagione per “vociomani” più che per appassionati dell’opera in tutti i suoi aspetti. È il caso di Aida: nel ruolo del titolo si alterneranno in date non molto distanti fra loro il soprano ucraino Liudmyla Monastyrska e il controverso soprano russo Anna Netrebko, nell’occhio del ciclone la scorsa primavera per non avere preso adeguata e chiara distanza dalla guerra di Putin e quindi rapidamente estromessa da numerosi teatri di primo piano in tutto il mondo. Nello scorso maggio, la prima ha sostituito la seconda in una Turandot al Metropolitan di New York, ed è stata salutata come l’erede della diva considerata troppo vicina ai separatisti del Donbass, rapidamente scaricata dal principale teatro operistico statunitense. C’è curiosità di scoprire se anche a Verona come a New York Monastyrska si presenterà ai saluti finali avvolta in una bandiera ucraina (così in una fotografia pubblicata dal New York Times). E soprattutto se davvero va considerata l’erede artistica di una collega che peraltro non è affatto intenzionata a lasciare le scene e nelle ultime settimane è tornata alla ribalta in vari teatri europei, Scala compresa. Il pacifico confronto artistico-vocale fra Russia e Ucraina si ripeterà in Arena anche nella Turandot: su sette rappresentazioni dell’opera postuma di Puccini le prime tre saranno cantate dalla Netrebko, le altre quattro dal soprano Oksana Dyka, interprete del ruolo di recente anche nell’allestimento di Ai Weiwei all’Opera di Roma.
Il glamour di Spoleto e la Budapest Festival Opera
Altro glorioso festival è quello di Spoleto, giunto all’edizione 65 carico della gloria dei suoi primi 40 anni (almeno) e tutt’ora molto glamour. Come sempre il calendario è concentrato (dal 24 giugno al 10 luglio) e il programma multidisciplinare. Quanto alla musica, da segnalare in positivo la residenza della Budapest Festival Orchestra di Iván Fischer, che proporrà vari concerti anche con organici diversi e sarà protagonista della serata inaugurale in Piazza Duomo, nel nome di Philipp Glass e del suo The Passion of Ramakrishna, oratorio del 2006 su vita e insegnamenti di un guru indiano dell’Ottocento. Il tradizionale concerto finale sarà affidato all’Orchestra di Santa Cecilia (anch’essa in residenza) diretta da Antonio Pappano, con la partecipazione del soprano Barbara Hannigan, per un programma tutto americano con pagine di Samuel Barber e Aaron Copland. La Hannigan, anche come direttrice d’orchestra, darà vita all’unica proposta operistica spoletina, La voix humaine di Poulenc da Cocteau, in uno spettacolo all’aperto in serata unica basato sul video-design.

I festival di Macerata e della Valle d’Itria
Contemporanei nell’inaugurazione (il 19 luglio) sono altri due storici festival, quella allo Sferisterio di Macerata (edizione n. 58) e quello della Valle d’Itria, in Puglia (edizione n. 48), che ha da sempre il suo centro al palazzo ducale di Martina Franca. A Macerata hanno prolungato il calendario fino a ben oltre Ferragosto e le tradizionali proposte operistiche sono affiancate da un ciclo di concerti sinfonici tutti incentrati su Beethoven, con orchestre di fama (S. Cecilia, Maggio Fiorentino) e noti direttori (Chung, Mehta). Rilevante l’integrale dei Concerti per pianoforte, affidati alla nuova stella della tastiera, il 27enne canadese di origini polacche Jan Lisiecki. I titoli operistici sono tre. La nuova produzione di Tosca (regia di Valentina Carrasco, che l’anno scorso aveva ambientato Aida in un campo petrolifero negli Anni 20) si svolgerà negli Anni 50 sul set di una produzione cinematografica, mentre in agosto Il barbiere di Siviglia affidato alla giovane bacchetta di Alessandro Bonato sarà allestito dal vincitore del concorso di regia per Under 35 promosso con Opera Europa e Rossini Opera Festival, Daniele Menghini. La raffinata vocazione del festival pugliese per le rarità melodrammatiche, spesso scelte in chiave belcantistica, svaria quest’anno lungo tre secoli, dal Seicento di Francesco Cavalli e del suo Il Xerse, al Novecento di Le jouer di Prokofev da Dostoevskij, con cui la rassegna s’inaugura. In cartellone anche una prima assoluta: si tratta di Opera Italiana di Nicola Campogrande (2010), che racconta mezzo secolo di vita nazionale a partire dagli Anni 60. Il libretto è firmato da Elio e da Piero Bodrato ed è ambientato in un condominio popolato di personaggi dai nomi allusivi e simbolici.

Scelte conservative anche per il Rossini Opera festival di Pesaro
Scelte in certa misura conservative – sul piano degli allestimenti – anche al Rossini Opera Festival, al via il 9 agosto. Le due nuove produzioni, Otello e Le comte Ory, entrambe da ascrivere ai capolavori rossiniani, mancano da oltre un decennio sulle scene estive di Pesaro. Il primo titolo è affidato a Rosetta Cucchi, il secondo a Hugo de Ana, regista navigato (e spesso impegnato anche nei grandi spazi all’aperto come Arena e Sferisterio), che torna a Pesaro dopo un’assenza quasi trentennale. La sua ultima presenza risale infatti al 1994 con Semiramide. Quanto ai cantanti, il ROF mantiene il suo tradizionale alto livello. Torna nel Comte Ory, che lo consacrò definitivamente nel 2003, il divo più amato dai rossiniani di tutto il mondo, il tenore Juan Diego Flórez, che peraltro dalla scorsa estate è anche il direttore artistico della manifestazione.

Nessuna nuova produzione al festival pucciniano di Torre del Lago
Passando dall’Adriatico al Tirreno, una segnalazione merita il festival pucciniano di Torre del Lago, che resiste con il suo teatro all’aperto sul lago di Massaciuccoli (incantevole il panorama) anche alle polemiche gestionali non infrequenti negli ultimi anni ed è arrivato all’edizione n. 68. I titoli in locandina dalla metà di luglio – anche qui nessuna nuova produzione – sono Madama Butterfly, Tosca, Turandot e il raro La Rondine. Concreta, per gli allestimenti, la collaborazione con il Maggio Fiorentino e l’Opera di Roma. Unica produzione autoctona la Butterfly, nell’edizione “green” firmata due anni fa da Manu Lalli.
Il Verdi di Parma tra opere e concerti
Il giro d’Italia con i festival – che naturalmente non ha nessuna pretesa di completezza – si conclude nuovamente al Nord, quando ormai l’estate declina. A Parma si aprirà il 22 settembre il Festival Verdi. Due le nuove produzioni, entrambe di notevole interesse. La forza del destino – con la regia di Yannis Kokkos e la direzione di Roberto Abbado – avrà per protagonisti l’esperto tenore Gregory Kunde e il già citato soprano ucraino Liudmyla Monastyrska, che a questo punto può ragionevolmente aspirare al titolo di protagonista dell’estate lirica italiana. Ci sarà poi – nella logica di un festival che coniuga il fatto esecutivo con la ricerca musicologica, come avviene per Rossini a Pesaro – la rara esecuzione della prima versione del Simon Boccanegra, quella andata in scena alla Fenice di Venezia nel 1857 (l’opera fu poi rielaborata a fondo da Verdi nel 1881 per la Scala). Sul podio Riccardo Frizza, regia di Valentina Carrasco, cast di primo livello con Vladimir Stoyanov nel ruolo del titolo, Roberta Mantegna, Piero Pretti. Fra i concerti, da segnalare la verdiana Messa da Requiem affidata alla bacchetta prestigiosa di Michele Mariotti e all’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai. E specialmente l’intrigante confronto fra le estreme composizioni dei due sommi musicisti nati nel 1813, Wagner e Verdi, che sarà proposto il 15 ottobre dal direttore Daniele Gatti con l’orchestra e il coro del Maggio Fiorentino. Da un lato, brani strumentali dal Parsifal, compreso l’Incantesimo del Venerdì Santo, dall’altro i Quattro Pezzi Sacri del bussetano, testamento musicale e spirituale. Un’ora di musica, ma molto da sentire e molto su cui riflettere.