Lido d’Italia

Barbara Massaro
04/09/2021

Cinema certo. Ma anche bellezza ed eleganza che attraverso i decenni hanno reso il Festival di Venezia cartina al tornasole del costume. Fotogrammi da una storia lunga 78 anni.

Lido d’Italia

Da 78 anni a questa parte la rassegna d’arte cinematografica di Venezia accende i riflettori sull’Italia che ci piace vedere ed esportare nel mondo. Bellezza, raffinatezza, cura dei dettagli, glamour ed eleganza collocano il red carpet lagunare lontano anni luce dallo sfarzo in pompa magna della Hollywood della Notte degli Oscar. Eppure la Mostra del Cinema di Venezia e la Notte degli Oscar nascono a pochi anni di distanza. Il primo Oscar è stato assegnato nel 1929, mentre Venezia ha aperto i battenti nel 1932 quando sul tappeto rosso sfilavano Greta Garbo, Clark Gable, Fredric March, Wallace Beery o Norma Shearer. Allora i divi, quelli del cinema in bianco e nero, parevano arrivare da un altro pianeta usciti dalla 35 millimetri per falcare un tappeto fatto della materia di cui sono fatti i sogni per parafrasare William Shakespeare. E Venezia era lì, austera ed elegante, col suo dialetto stretto e il suo sguardo a oriente in grado di rendere onore al nostro Paese come nessuna altra manifestazione di cultura  internazionale è stata in grado di fare nell’ultimo secolo.

la storia del costume italiano visto da venezia
Anna Magnani (Getty Images).

Dal fascismo al neorealismo

Se si potesse riavvolgere la 8 millimetri indietro fino al 1932 si potrebbe utilizzare la kermesse come cartina al tornasole non solo dei cambi del costume e della cultura del nostro Paese, ma dell’intero sistema culturale che si è affacciato in laguna. Gli Anni 30, ad esempio, sono stati all’insegna della grandezza iconografica del fascismo che ha utilizzato il cinema come comodo strumento di propaganda diffondendo una vulgata tranquillizzante della realtà dei fatti per coprire l’imminente conflitto bellico. Venezia ha resistito anche alle bombe e persino negli anni della guerra, sebbene in forma ridotta, non ha saltato l’appuntamento del Lido. L’Italia del Dopoguerra non poteva che essere incarnata dalla potenza e dal carisma di Anna Magnani in pieno neorealismo periodo fondamentale della nostra storia del cinema che ha fotografato con precisione caravaggesca le condizioni del nostro Paese dopo la Seconda Guerra mondiale. Un Paese povero, ferito, spaventato, ma con quella forza d’animo e quel coraggio che gli hanno permesso di coltivare con successo i semi del boom economico.

com'è cambiato lo stile italiano nei 78 anni del cinema di venezia
Sophia Loren al Festival del 1958 (Getty Images).

Come si passò da Sophia Loren a Monica Vitti

La serenità e l’abbondanza degli Anni 50 sono tutte nei seni e nei fianchi di Sophia Loren (Leone d’Oro nel 1958) e Gina Lollobrigida che, nel decennio passato alla storia come quello de I grandi maestri – Fellini, Antonioni, per dirne un paio – incantavano il mondo intero con quello standard estetico tutto made in Italy da diva col grembiule; da mangiatrice di uomini che scola la pasta o madre coraggio dagli occhi magnetici. Alla Loren oltreoceano rispondeva la splendida Marlene Dietrich che, giunta a Venezia aveva portato scompiglio al Lido, ma anche Bette Davis fortemente amata dal grande pubblico. Erano gli anni di Marlon Brando e Brigitte Bardot; di Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Silvana Mangano; di Mario Monicelli e Giulietta Masina. Si stava bene, e si vedeva. Fuori e dentro il grande schermo. L’Italia cresceva di anno in anno e Venezia assumeva pregio e respiro borghese. Poi sono arrivati gli anni della contestazione, dell’avvento del cinema contro corrente e d’autore delle manifestazioni operaie e studentesche che non potevano che avere effetti sulla poetica cinematografica del decennio degli Anni 60. Le gonne sul red carpet si accorciavano, le donne osavano di più, ma sorridevano i meno. I volti si facevano più duri, il cinema di Venezia perdeva di magia e diventava specchio della realtà. Al Lido comparivano firme come quella di Francesco Rosi, Pierpaolo Pasolini e Gillo Pontecorvo e accanto alla bellezza comoda della Loren si affiancava quella enigmatica di Monica Vitti. La nouvelle vague francese, poi, introduce Oltralpe il “cinema per pensare” e lo accosta al “cinema per sognare”. Le grandi dive restano a Hollywood  – Marilyn Monroe, ad esempio – e la Mostra del Cinema di Venezia si trasforma in una kermesse autoriale dalla poetica criptica tanto che negli Anni 70 addirittura scompare la gara tra film a favore del pensiero critico e dell’eccesso stilistico (si pensi, per fare un nome, a un Ingmar Bergman). Erano gli anni di piombo, dell’Italia col lupetto e i pantaloni a coste decisa a dare un senso alle stragi e al rancore politico che si traduceva in soffocante atmosfera sociale.

la storia del costume attraverso il festival di Venezia
Monica Vitti e Michelangelo Antonioni a Venezia nel 1962 (getty Images).

La leggerezza degli 80

La grande sfida degli Anni 80 è stata, quindi, quella di riportare leggerezza sul tappeto rosso e soprattutto di convincere fisicamente i nuovi divi della terza Hollywood a sbarcare al Lido. Il dibattito sulle nuove tecnologie restituisce entusiasmo e torna la magia del cinema d’intrattenimento. Sono gli anni di Guerre Stellari e Indiana Jones, di George Lucas e Steven Spielberg, John Travolta e Silvester Stallone dove i lustrini della Febbre del sabato sera si uniscono al machismo di Rambo o alla magia romantica di Dirty Dancing e Ufficiale e Gentiluomo. Andava bene tutto negli Anni 80, con quello spirito da fanciullino che torna a vedere il mondo per la prima volta senza poter esulare dall’happy end.

la storia del festival di Venezia e del costume
Serena Rossi, madrina della 78esima edizione del festival col marito Davide Devenuto (Getty Images).

L’età delle madrine

Ma dopo i finali felici, si sa, al cinema finisce la proiezione e così, per poter crescere gli Anni 90 a Venezia sono stati dedicati alla modernizzazione delle infrastrutture con la creazione di nuove aree di proiezione e la moltiplicazione delle offerte. Il rafforzamento prosegue  tutt’oggi con l’ultimo ventennio di storia della Mostra caratterizzato dall’istituzione della figura della “madrina” del Festival, sorta di traghettatrice dei sogni che ha lo scopo di condurre pubblico e protagonisti all’interno delle pagine di un festival che viene scritto giorno dopo giorno attraverso i volti dei suoi protagonisti. La prima madrina, nel 2000, è stata Chiara Caselli, l’ultima – in ordine di tempo – Serena Rossi che veste con eleganza un ruolo già ricoperto da Maria Grazia Cucinotta e Isabella Ragone, Ines Sastre e Vittoria Puccini, Ambra Angiolini e Isabella Ferrari. In 20 anni solo due sono stati i “padrini” del festival cioè Alessandro Borghi e Michele Riondino nel 2016 e 2017. E forse va bene così.